In
questa pagina, senza alcuna pretesa di completezza, sono presentate alcune
notizie sulla grande pala d'altare che Tiziano dipinse per la Basilica di
S. Maria Gloriosa dei Frari a Venezia.
Perché proprio un'«Assunta»
L'«Assunta»
del Tiziano.
A circa 160 anni da quando
iniziarono i lavori per la costruzione della
terza chiesa di S. Maria Gloriosa, l'edificio appare finalmente compiuto:
nel
1468 fu ultimato
il coro ligneo
che venne racchiuso nel 1475 da un
"septo" marmoreo; dopo il danneggiamento di un
fulmine nel 1490 venne restaurato, modificandone la cuspide, il campanile;
il 13 febbraio 1469 fu consacrato l'altar maggiore alla presenza
dell'imperatore Federico III mentre il presbiterio andava arricchendosi
dei grandiosi monumenti funebri ai dogi Francesco Foscari e Nicolò Tron;
il 27 maggio 1492 venne infine consacrata la chiesa «...in honorem
Assumptionis Virginis Mariae».
Fu dunque ai primi anni del Cinquecento che si cominciò a guardare ad una
pala d'altare che fosse degna della grandezza e della magnificenza della
chiesa.
E soprattutto che illustrasse magnificamente il messaggio di S. Maria
Gloriosa e dei frati minori.
Quando nel 1250 venne collocata la prima pietra dell'erigenda chiesa, la seconda,
già era stato imposto il titolo di "S. Maria
Gloriosa" e non semplicemente di S. Maria, come era titolata la
precedente, per distinguerla dalle altre chiese mariane esistenti.
"Gloriosa" indica Maria elevata alla gloria del regno di Dio
accanto al suo Figlio divino. Elevata, quindi assunta in gloria.
In qualche documento troviamo la chiesa chiamata anche «Sancta Maria
Gratiosa di Venetia», ma il titolo liturgico ufficiale è quello di
"S. Maria Gloriosa": quel "gratiosa" derivava dal
fatto che c'era una statua della Madonna molto venerata che si trovava nel chiostro esterno (o della
Trinità) ritenuta miracolosa e dispensatrice di grazie e per questo
chiamata "Madonna delle grazie", quindi "graziosa".
La festa dell'Assunzione cominciò ad essere celebrata a Roma sul finire
del VII secolo, ma era ancora chiamata con l'appellativo bizantino di
"dormitio" della Madre di Dio, in greco la "koimesis".
Fu nell'ottavo secolo, tra il 784 ed il 791, che il nome della festa
diventò quello di "Assumptio Sanctae Mariae" ("Sacramentario"
di Adriano I inviato a Carlo Magno).
Questo cambiamento ovviamente non era solo un fatto formale di cambiamento
di nome della festa; implicava evidentemente un cambiamento di dottrina:
l'assunzione al cielo comportava che c'era stata prima una resurrezione e
quindi il fulcro della festa non fu più la morte di Maria (la sua "dormitio")
bensì la sua assunzione.
S. Giovanni Damasceno sosteneva che la morte non poteva corrodere Maria,
perché la Madonna era opposta ad Eva che, con la sua caduta dallo stato
di grazia, aveva condannato il genere umano. Se con il suo "sì"
all'annuncio dell'angelo era avvenuta l'incarnazione di Dio nel suo grembo
e «...si congiunse tutta a Dio, in qual modo la morte potrebbe
divorarla?»
Intorno alla metà del Trecento si fa strada anche nella Chiesa che la
Madonna «assumpta est in coelum cum corpore et anima».
Ai Frari, anche sulla scia degli insegnamenti di S. Antonio da Padova, era
predicato e venerato il mistero dell'Assunzione con sette secoli di
anticipo dalla proclamazione del dogma che avverrà, per opera di Pio XII
con la bolla "Municifentissimus Deus", il 1° novembre
1950.
Ma la fede nell'Assunzione di Maria Vergine era, ed è, intrinsecamente
legata ad un'altra venerazione: quella dell'Immacolata Concezione. Se
l'Assunzione al cielo della Madonna dimostrava che il suo corpo non poteva
subire la corruzione fisica, questo dimostrava che la sua carne era «senza
machula»: il primo Patriarca di Venezia, S. Lorenzo Giustiniani
(1381-1456) nel suo sermone scritto proprio per la festa dell'Assunzione
scriveva: «come era libera da ogni corruzione mentale o corporale,
così era aliena dal dolore della morte.»
Se, soprattutto per i francescani, non c'era dubbio che Maria, Madre di
Dio, fosse nata senza peccato (ma energicamente contrari erano i
Domenicani), la questione era ampiamente dibattuta nella Chiesa. La
difficoltà derivava soprattutto dall'idea di S. Agostino, che dominò
almeno per tutto il medioevo, secondo la quale il peccato originale si trasmetteva
con l'atto del concepimento. Se si fosse ammesso che Maria non era morta
perché non macchiata dal peccato («senza machula») si sarebbe
dovuto ammettere che la Madonna non aveva avuto bisogno della redenzione
del Figlio. Ma i teologi francescani argomentavano che Maria aveva
ricevuto la redenzione da Cristo per adempiere al suo ruolo di Madre di
Dio e che l'aveva ricevuta prima della sua concezione. La morte di Maria
non fu necessaria, ma volontaria, ma non tanto per non pagare «la
mercede del peccato», ma per condividere le sofferenze del Figlio. La
concezione immacolata di Maria non fu una mancanza di redenzione, ma la
redenzione perfetta, una redenzione "preservativa": Cristo, il
mediatore perfetto, doveva fare un atto di mediazione perfetta e lo fece
in favore di Sua Madre, cioè di colei che sarebbe stata chiamata in modo
unico e speciale all'opera redentrice.
Con l'eccezione soprattutto dei Domenicani si andava affermando la tesi immacolista e
la festa della Concezione si diffondeva tra gli ordini religiosi. Anzi,
durante il Concilio di Basilea, il 17 settembre 1439, venne approvata la
dottrina dell'Immacolata Concezione, pia, conforme al culto della Chiesa,
alla fede cattolica, alla Sacra Scrittura, alla retta ragione; ma il
Concilio all'epoca non era più legittimato, essendosi sottratto
all'autorità del pontefice di Roma.
Tuttavia meno di quarant'anni dopo intervenne un papa francescano, Sisto
IV, padre Francesco della Rovere da Savona, minore conventuale che, tra
l'altro, negli anni 1439-1441 nello Studio dei Frari era stato insegnante di teologia,
proprio con una cattedra sul privilegio mariano.
Sisto IV, pur senza prendere posizione circa il dogma, approvò la festa
dell'Immacolata consona alla fede cattolica con la costituzione apostolica
"Cum praexcelsa" del 27
febbraio 1477 e con una successiva bolla del 4 settembre 1482, "Grave nimis",
minacciò la scomunica contro coloro che avrebbero cercato di muoversi
reciproche accuse sull'argomento.
Ormai la strada, anche se faticosamente e lentamente, era tracciata: si
tratterrà di attendere l'8 dicembre 1854, quando papa Pio IX proclamerà
il dogma dell'Immacolata Concezione con la bolla "Ineffabilis
Deus".
Che le due festività, quella dell'Assunzione e quella dell'Immacolata
Concezione, siano strettamente collegate assieme, lo dimostra il fatto che
quando Leonardo di Nogarole e Bernardino di Busto composero gli offici per
la festa della Concezione, approvati da Sisto IV, scelsero gli stessi
testi biblici che già erano utilizzati nella liturgia dell'Assunzione; i
versetti non erano ripetuti solo perché si adattavano a ciascuna festa,
ma anche per sottolineare la stretta relazione che legava questi privilegi
straordinari che aveva avuto la Madonna. I versetti del Cantico dei
Cantici, ad esempio, erano gli stessi che aveva utilizzato anni prima S.
Lorenzo Giustiniani per il suo sermone sull'Assunzione: «Tota pulchra
es amica mea et macula non est in te» (Cantico 4, 7; «Tutta bella
tu sei, amica mia, in te nessuna macchia»). Il versetto, utilizzato in origine per l'Assunzione,
ben poteva essere applicato dagli esegeti all'Immacolata, ma altri
versetti furono citati in entrambi gli offici.
Non c'è dubbio che per i francescani, per i frati di Santa Maria Gloriosa
dei Frari, per i loro fedeli, "Santa Maria Gloriosa" significava
semplicemente "Santa Maria Immacolata".
La cornice
Il presbiterio dunque era già completato, l'altar maggiore consacrato.
Mancava la pala d'altare ed un'ancona che potesse degnamente racchiuderla.
Attorno al 1516 il padre Guardiano dei Frari, Germano da Casale, si rivolse
a Lorenzo e Gianbattista Bregno perché gli edificassero un'ancona
monumentale (m. 7,25 x 12,50): su un piedistallo con fregi dorati innalzarono due colonne che
sostenevano un architrave scolpito.
Sopra l'architrave i Bregno posero tre statue, di dimensioni quasi al naturale,
alte poco meno di due metri; rappresentano il Cristo risorto, S. Francesco e
S. Antonio.
I soggetti delle sculture non furono casuali, ma connessi tre loro e con i
temi della Concezione e dell'Assunzione.
Il Cristo risorto anticipa l'Assunzione di Maria, ma il Cristo risorto è
anche lassù, ad attendere in cielo la madre che sarà coronata "Regina
coeli".
Sulle due tombe del presbiterio ci sono altre immagini di Cristo: sulla
tomba del doge Tron c'è un Cristo risorto, su quella del doge Foscari un
Cristo in Ascensione. Allora non si può fare a meno di non associare queste
immagini di Cristo vittorioso sulla morte delle tombe con il Cristo
dell'ancona, e il tema dell'Ascensione di Cristo con il tema dell'Assunzione
della Madonna: i soggetti dei monumenti funebri e l'Assunzione ci rendono
palpabile la promessa di redenzione che è stata resa possibile
dall'Incarnazione, promessa che è stata mantenuta da Cristo con il suo
sacrificio per mezzo del quale ha sconfitto la morte nella Resurrezione e
nell'Ascensione. Nello stesso modo anche i beati, tra i quali sarebbero
compresi i due dogi, risorgeranno al momento del Giudizio Universale. Dunque
l'Ascensione di Cristo ci ricorda che Maria si identifica nel Figlio anche
nel trionfo sulla morte: la Madonna era morta non a causa del peccato ma per
condividere la sofferenza del Figlio e la sua opera di redenzione.
Come ricordato, sono presenti sull'architrave anche le statue di S.
Francesco e S. Antonio che partecipano al trionfo dell'Assunzione della
Vergine.
Non sono presenti solo come individui, ma come rappresentanti dell'Ordine.
S. Francesco rappresenta il proprio ordine e le piaghe che mostra sono sì
ottenute per la sua perfetta imitazione di Cristo, ma rappresentano anche
l'approvazione divina della sua Regola: Regola alla quale i frati minori
conventuali prestavano obbedienza.
S. Antonio rappresentava l'esempio di predicatore e di insegnante: quella
vita pubblica di servizio ai fedeli e di studio che svolgevano i minori
conventuali. S. Francesco aveva scritto ad Antonio accordandogli il permesso
di studiare teologia. Questa lettera fu considerata non come una
corrispondenza fra due grandi uomini, ma come un'approvazione di S.
Francesco che i frati minori dovessero dedicarsi agli studi.
Francesco «voleva che i ministri della parola di Dio attendessero agli
studi sacri e non fossero impediti da nessun altro impegno (...). Riteneva
poi i dottori in sacra teologia degni di particolari onori»
(Tommaso da Celano, "Vita seconda", 163).
Anche per questo l'importanza dei predicatori e degli studiosi all'interno
dell'Ordine aumentò e venne considerata come l'autorizzazione alla nascita
dei "Conventuales".
Furono anni importanti per l'Ordine francescano, lacerato da divergenze e
lacerazioni interne che portarono alla costituzione dei due gruppi, quello
dei "Conventuales", che privilegiavano lo studio e la
predicazione nelle città, e quello degli "Observantes",
che predicavano ideali di povertà assoluta.Questo travaglio ebbe la sua
conclusione proprio negli anni dell'«Assunta», il 29 maggio 1517, con la
promulgazione della bolla di papa Leone X "Ite vos" con la
quale l'Ordine venne diviso.
La presenza quindi della statua di S. Antonio fu un modo per ribadire
l'identità conventuale della chiesa.
L'ancona
con l'«Assunta» vista dall'ingresso della Basilica risulta
perfettamente inquadrata prospetticamente entro l'arco che divide in
due il "septo" marmoreo che racchiude il coro ligneo.
Tutta l'ancona è ispirata all'arco
posto sul "septo" marmoreo che racchiude il coro
ligneo: ma mentre quell'arco, sovrastato dalla "déesis",
è un arco di dolore e di sofferenza, l'opera dei Bregno è ispirata ad un
arco di vita, di un vero e proprio arco di trionfo: nei due pennacchi, forse
opera dello stesso Tiziano, sono dipinte alla maniera antica due vittorie
alate. Arco di trionfo, e S. Lorenzo Giustiniani scriveva: «Hodie cum
ingenti gaudio triumphavit in coelis» («Oggi, con grande gioia,
trionfò in cielo»). Vittorie alate: vittoria del culto dell'Immacolata
Concezione, ma anche vittoria di Maria e quindi vittoria della Chiesa.
Alla base della cornice, sopra l'altare, venne posto un finto tabernacolo
cioè un tabernacolo di marmo, privo di porta, chiuso, non funzionale, opera
di un aiutante dei Bregno.
Sulla facciata vi è scolpita una "imago pietatis", un
Cristo morto a mezzo busto, come ce ne sono altre due ai Frari: una
è visibile incassata nel pilastro trecentesco che divide la prima dalla
seconda cappella absidale a destra di quella maggiore, l'altra
è stata dipinta da Bartolomeo Vivarini sopra il suo polittico nella cappella
Bernardo (l'ultima cappella absidale di destra). In quest'ultima immagine,
sopra la cornice del polittico, due angeli scolpiti in legno dorati e
policromi si inginocchiano davanti alla "imago pietatis".
Oltre all'immagine di Cristo, sul falso tabernacolo di marmo sono scolpiti
ai fianchi due angeli e sopra un soffitto fasullo fatto a cassettoni dipinti
di un colore marrone-rossastro scuro: forse in origine tutto il tabernacolo
poteva essere policromo.
Il finto tabernacolo suggerisce l'identificazione di Maria con l'Eucaristia. S.
Bonaventura aveva fatto una similitudine tra l'Eucaristia ed il miele: «hoc
mel produxit apis nostra Virgo Maria (...) Debet habere patrocinium beatae
Mariae Virginis qui vult gustare huius mellis dulcedinem in Sacramento
altaris absconditum».
Agli occhi dei francescani il significato simbolico del falso tabernacolo è
l'identificazione dell'Assunta con l'Immacolata Concezione: Maria stessa era
stata il tabernacolo di Cristo, il tabernacolo che conteneva l'Eucaristia;
Maria era come l'Arca dell'Alleanza della Genesi, solo che quest'ultima
conteneva la legge di Dio, Maria invece conteneva Dio stesso. Quindi doveva
essere di materia incorruttibile.
Nel dipinto che Tiziano andrà a fare troviamo
su un'unica linea il tabernacolo (quello vero) dell'altare nel quale è
riposto il corpo di Cristo (*), il falso tabernacolo simbolico, poi la Vergine Assunta
che viene accolta in Cielo dal Signore attesa dal Cristo risorto (la statua
sopra l'architrave della cornice).
Così il sacerdote, quando celebrando l'Eucaristia alza gli occhi, scorge
oltre il vero tabernacolo dell'altare anche quello simbolico e tutta la
scena del quadro (l'altare in origine era collocato sotto l'ancona: fu
spostato da lì allontanandolo nel 1825 per evitare che il fumo delle
candele continuasse a danneggiare la pala dipinta). Il celebrante non
può fare a meno di coglierne il significato ribadito
anche da S. Bernardino da Siena (che predicò qui a Venezia più volte, tra
il 1405 ed il 1443): Maria è Immacolata, già purificata,
perché Dio santifica il proprio tabernacolo ed il tabernacolo di Gesù era
Maria.
Alla base delle colonne di sinistra e destra che sorreggono l'architrave
dell'ancona, su due cartigli sono incise le parole: a sinistra «ASSUMPTAE
IN COELUM VIRGINI AETERNI OPIFICIS MATRI» ed a destra «FRATER
GERMANUS HANC ARAM ERIGI CURAVIT MDXVI». Le scritte sono sovrastate
dallo stemma francescano delle braccia incrociate di Cristo e di S.
Francesco.
La scritta di sinistra si riferisce alla dedica dell'opera: «Alla
Vergine assunta in cielo Madre dell'eterno Creatore», quella di destra
al committente «Nel 1516 fra' Germano si curò dell'erezione di questo
altare». I cartigli sono due e due sono apparentemente le frasi
inscritte; solo apparentemente però, perché la frase è unica e va letta:
«Nel 1516 fra' Germano si curò dell'erezione di questo altare alla Vergine
assunta in cielo Madre dell'eterno Creatore».
E' interessante notare che padre Germano da Casale si definisce
semplicemente "frater", mentre all'epoca era padre
Guardiano del convento e maestro della provincia francescana di Terra Santa.
Se dall'iscrizione sembra essere stato lui a fare la committenza
dell'opera, in realtà lo fa per conto dell'Ordine che rappresenta ed a
rimarcare questo c'è, ripetuto due volte, lo stemma francescano.
Inoltre padre Germano non poteva possedere propri beni e quindi per
commissionare l'ancona e, forse, anche la pala d'altare dovette usufruire di
lasciti e donazioni nei quali intervenne probabilmente la famiglia Pesaro.
Il 1516 non è l'anno del compimento dell'opera, ma solo l'anno in cui «frà
Germano si curò dell'erezione» di essa. La pala d'altare venne montata due
anni dopo, quando il soggetto era già stato stabilito («alla Vergine
assunta in cielo») ed evidentemente anche le dimensioni del dipinto.
(*) Nell'ottobre 2007 per ragioni
liturgiche il tabernacolo dell'Eucaristia è stato spostato dall'altare
maggiore alla cappella del Santissimo (la seconda cappella laterale a
destra del presbiterio). La cappella del Santissimo fu una delle prime ad
essere costruite nella terza edificazione della chiesa: vi si trovano le
sepolture di Duccio Alberti, ambasciatore di Firenze a Venezia, morto nel
1336, e di Arnoldo d'Este, morto l'anno dopo, 1337. L'altare originario,
affidato alle cure della Scuola di San Francesco, nel 1825 venne trasportato
nella vicina cappella Bernardo (la terza del transetto di destra) e nel 1910
venne eretto l'attuale altare del Santissimo.
Verrebbe da chiedersi perché proprio Tiziano, che aveva all'incirca 26 anni
o poco più, venne chiamato per dipingere un'opera così importante ed
impegnativa.
Le risposte possono essere molte.
Prima di tutto si potrebbe malignare che Giovanni Bellini era morto, e
Bellini era stato il pittore della Repubblica. Se non fosse morto si
potrebbe pensare che sarebbe stato lui a ricevere l'incarico.
Un secondo motivo potrebbe essere dato dall'opera difficile che un pittore
avrebbe dovuto affrontare con questa pala: infatti avrebbe dovuto dipingere
un quadro che sarebbe stato illuminato solo da dietro, dove ci sono le
vetrate dell'abside, e solo parzialmente dai lati con un'angolatura molto stretta,
radente. Tiziano tre anni prima, nel 1513, si era impegnato con la
Repubblica Serenissima a dipingere un grande "telero" per la sala
del Maggior Consiglio in Palazzo Ducale. Anche in questo caso l'opera si
sarebbe venuta a trovare in una situazione critica di illuminazione. Tiziano
scrisse che lo avrebbe dipinto in modo che sarebbe stato perfettamente
visibile. Si tratta della famosa «Battaglia del Cadore» che la
Repubblica volle per celebrare il vittorioso scontro del 2 marzo 1508
dell'esercito veneziano contro le truppe imperiali di Massimiliano I che
facevano parte della lega di Cambrai. Tiziano completerà questo quadro
molti anni dopo e la tela venne distrutta da un incendio nel 1577.
Un terzo motivo che spiegherebbe la scelta di Tiziano potrebbe essere quello
che Tiziano stesso fosse stato raccomandato dai frati di Padova ai
confratelli di Venezia per essersi particolarmente distinto in quegli anni
lavorando alla "Scoleta del Santo" per la quale aveva
realizzato una serie di affreschi.
Tiziano sapeva esattamente dove sarebbe stata collocata la sua opera ed
aveva presenti i due monumenti sepolcrali ai dogi Foscari e Tron che
l'avrebbero fiancheggiata, l'arco con la "déesis" del "septo"
marmoreo che l'avrebbe incorniciata in prospettiva, ne conosceva il soggetto
e le dimensioni (m. 3,44 x 6,68).
Tiziano lavorò molto velocemente alla sua opera che completò in soli due
anni, nonostante i Duchi di Ferrara gli scrivessero di continuo per avere i
suoi quadri e per invitarlo alla corte estense.
Il quadro
«20 (maggio 1518) ... Fo San Bernardin (...) et heri fu
messo la palla granda di l'altar di Santa Maria di Frati Menori suso,
depenta par Ticiano, et prima li fu fato atorno una opera grande di marmo a
spese di maistro Zerman, ch'è guardian adesso», annota diligentemente
Marin Sanudo nei suoi Diari.
Quindi il 19 maggio 1518 venne installata l'«Assunta» del Tiziano
sopra l'altare.
Sanudo riafferma la committenza di padre Germano da Casale, ma la sua
annotazione stringata non ci chiarisce se questi fu anche il committente
dell'opera di Tiziano: esplicitamente non lo dice, ma la frase potrebbe sottintenderlo.
A questo punto è da sfatare una diceria che circola ancor oggi: quella
secondo la quale quando venne scoperta la nuova pala sull'altare maggiore
esse apparve talmente nuova, inusuale, da lasciare stupefatti ed indignati i
frati che avrebbero voluto subito toglierla; solo la proposta di acquisto
avanzata dall'ambasciatore austriaco avrebbe fatto cambiare idea ai frati.
La storiella tra origine da un'opera di Carlo Ridolfi (1594-1658), pittore
lui stesso, trafficante di opere d'arte e forse troppo sopravvalutato
letterato d'arte (fu addirittura definito «il Vasari dei veneziani»)
ed è raccontata ne
"Le maraviglie dell'arte" (titolo completo dei due tomi "Le
maraviglie dell'arte, ouero le vite de gl'illustri pittori veneti, e dello
Stato, oue sono raccolte le opere insigni, i costumi, & i ritratti loro,
descritte dal Cavaliere Carlo Ridolfi. Parte prima (e seconda). Venetia,
Gio. Battista Sgava, MDCXLVIII").
Basterebbe dire che né il Sanudo (contemporaneo del quadro,del quale ci
racconta "in diretta" la collocazione), né gli altri cronisti
dell'epoca riportarono queste presunte lamentele dei frati delle quale scrisse
invece il Ridolfi a 130 anni di distanza dall'esposizione dell'«Assunta».
Sarebbe da aggiungere che, dopo l'«Assunta», e forse anche per merito di
questa, Tiziano ricevette altre commissioni come l'altare dell'Immacolata (con
la pala Pesaro)
e, più tardi negli anni 1533-35, la pala dell'altar maggiore della vicina chiesa
di S. Nicoletto della
Lattuga, commissionatagli proprio da padre Germano da Casale negli anni
in cui era Guardiano di quel convento e che padre Germano non poté vedere
completata morendo prima.
La storiella raccontata dal Ridolfi non avrebbe ragione neppure d'esistere
considerando la novità della rappresentazione di Maria che viene assunta al
cielo «cum corpore et anima» di fronte alle precedenti
rappresentazioni bizantine della "dormitio virginis". Ormai
all'epoca a Venezia esistevano una mentalità ed una spiritualità diffuse
che portavano a capire chiaramente, senza alcun motivo di scandalo, questo
tipo di dipinto ed il messaggio che sottintendeva.
Tiziano
costruisce il suo quadro utilizzando gli spazi determinati da un
cerchio sovrapposto ad un quadrato: il centro del cerchio coincide con
il volto della Madonna.
Gli
occhi dell'osservatore sono attratti da quattro masse di colore rosso:
le vesti dei due apostoli e la veste della Madonna formano un
triangolo con il vertice acuto che punta verso la quarta area rossa,
quella del Padre Eterno, verso la quale la Madonna ed il nostro
sguardo sono attratti.
Forse con il suo racconto il Ridolfi voleva evidenziare l'innovazione del
Tiziano rispetto alla pittura sacra tradizionale e all'iconografia di Maria
assunta; o forse poteva far comodo al Ridolfi inventare l'episodio per
favorire i suoi traffici di opere d'arte, soprattutto con l'Olanda.
Probabilmnte
Tiziano non fu estraneo alla progettazione dell'ancona, e quindi alle
dimensioni che avrebbe avuto il suo dipinto. Fatto sta che quando lo iniziò
le misure furono obbligate dall'apparato elevato, o ancora in costruzione,
sopra l'altar maggiore.
La sua opera venne dipinta su tela applicata a 21 tavole di legno disposte
orizzontalmente su uno spazio di m. 3,44 x 6,68.
Anche per la scansione degli spazi interni Tiziano non ebbe moltissime
alternative, tuttavia seppe sfruttare sapientemente quello che la cornice
offriva.
Prima di tutto divise lo spazio in due parti: sotto c'è una parte quadrata.
E' la parte terrena dove Tiziano esibì tutto il suo manierismo con le
figure degli apostoli che si agitano in posizioni contrapposte, chi di
schiena, chi di fronte, chi con le braccia alzate. Sopra lo spazio non è
più quadrato, bensì è un cerchio perfetto dove ogni punto è equidistante
dal centro: e quel centro è il volto della Madonna. Con il cerchio ci
troviamo in un'altra dimensione, quella celeste, quella dell'infinito.
Questa contrapposizione tra quadrato e cerchio è antichissima: ne abbiamo
tracce anche nella tradizione filosofica cinese, dove il suolo e la terra
sono palpabili, concreti, misurabili, e quindi rappresentati da un quadrato,
da un qualcosa che ha dei limiti e dei confini, i lati e gli angoli.
All'incontrario il cielo non appare solido e materiale ma impalpabile e non
misurabile a causa dell'assenza di punti di riferimento fissi e quindi non
gli si possono attribuire dei limiti: proprio per questo viene rappresentato
come un cerchio, una circonferenza che non ha un punto d'inizio ed una fine,
cioè un ciclo eterno ed infinito.
A rimarcare questa differenza, Tiziano fece un sapiente uso del colore.
Sugli apostoli domina una luce azzurra cristallina mentre il cielo attorno
alla Madonna si accende di toni caldi e sfavillanti che ha il massimo della
luminosità tra il Padre Eterno, da cui emana, ed il capo della Vergine che
appare così incorniciato da un'aureola di luce. Scrisse S. Girolamo: «Nihil
est candoria, nihil est splendoris, nihil est numinis, quod non resplendeat
in Virgine gloriosa.»
L'illuminazione della Madonna in Tiziano è una trasposizione della cupola
mosaicata del trittico
di Giovanni Bellini in sacrestia: le tessere d'oro dipinte dal Bellini
diventano in Tiziano una cupola di luce dorata che sgorga dal Padre Eterno
ed inonda la Vergine assunta.
Ci sono inoltre quattro zone di rosso che aiutano a rendere l'idea dell'ascensionalità
del movimento: le vesti di due apostoli e quella della Madonna disposte a triangolo
con il vertice acuto in alto che ha un'ideale continuazione con il Padre
Eterno, ugualmente in rosso, verso il quale Maria è diretta.
Gli apostoli erano venuti per seppellire la Vergine, ed invece sono
testimoni della sua assunzione "cum corpore et anima".
E noi con loro. Il loro agitarsi scomposto (ma sapientemente organizzato da
Tiziano), il loro alzare le braccia, volgere gli sguardi in alto, cattura
anche i nostri occhi e ci convince della realtà della scena alla quale
partecipiamo come testimoni.
Alziamo il nostro sguardo e vediamo la Madonna che si solleva su nuvole,
nuvole spesse, nuvole pesanti e consistenti perché devono sorreggere un
corpo reale, quello della Madonna "cum corpore".
Alziamo lo sguardo ed incontriamo il cerchio celeste, il cerchio della
dimensione infinita di Dio. Ma non è l'unico cerchio: c'è tutta una serie
di elementi circolari, semicircolari, curvi. Un arco di cerchio è tracciato
dalle nuvole, quasi una ghirlanda circolare è formata dai grappoli di
angioletti, circolare è il gesto compiuto dalla Madonna con le braccia,
circolare è la corona che un angelo proveniente da destra le porge,
circolare è l'abbraccio con il padre Eterno.
La Vergine non ha le sembianze della giovinetta dell'Annunciazione: è una
donna matura, una donna che ha vissuto ed ha sofferto nella sua vita.
Davanti all'incontro con il Padre Eterno spalanca le braccia, con lo stesso
gesto della Madonna annunziata, quando ha pronunciato quel "sì":
«Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto».
Ed a quel "sì" è restata sempre fedele.
C'è un dialogo tra la Madonna ed il Padre Eterno, mentre l'angelo è pronto
con la corona ad incoronarla "Regina coeli".
Tiziano
ha voluto indicare esplicitamente la dedicazione della Basilica e
dell'«Assunta» alla Vergine gloriosa mediante alcune lettere
nascoste tra gli angioletti: a sinistra «BEVI» sta per "BEata
VIrgo", a destra «GLO» per "GLOriosa".
Tiziano dissemina il dipinto di alcune
scritte, una evidente le altre più nascoste. La prima è la firma del pittore,
su di una roccia in basso al centro: «TICIANVS».
La
firma di Tiziano.
Le altre sono celate, recate da due angioletti, uno al limite della cornice
sulla sinistra, in prossimità di dove la cornice inizia la curva dell'arco,
l'altro a destra, sempre a ridosso della cornice, quasi alla stessa altezza
del precedente.
A sinistra si possono leggere le lettere «BEVI», cioè "BEata
VIrgo", a destra «GLO» che evidentemente sta per
"GLOriosa".
E' evidente il riferimento alla dedicazione della chiesa ed al titolo della pala
d'altare, se ricordiamo l'equivalenza tra "gloriosa" ed
"assunta". Così in una preghiera quattrocentesca veneziana si
invocava l'«altisima asunzione e glorifuhazione» della Vergine e
nella vita veneziana della Madonna si narrava che «fu levata di terra et
portata in cielo chon allegrezza e canti quella anima gloriosa e benedetta».
A Tiziano non interessò rappresentare una scena terrena: le grandi figure
degli apostoli nascondono quasi del tutto il suolo (resta una porzione di
roccia sulla quale il pittore dipinse, come incisa, la sua firma). Non c'è
alcun riferimento alla morte di Maria, nessun sepolcro, nessuna tomba vuota,
e questo probabilmente fu conseguenza delle discussioni dottrinali circa la
morte della Madonna. Tutto il dipinto è incentrato sulla visione celeste
della quale gli apostoli, e con loro chi ammira il quadro, sono testimoni.
Non c'è una grande distanza fisica tra il gruppo degli apostoli e la
visione celeste, ma la distanza è stata costruita da Tiziano mediante
artifici: oltre all'uso del colore ed alla ripartizione della scena, come
abbiamo detto sopra, allusivi sono gli sguardi. Gli sguardi degli apostoli
rivolti in alto e lo sguardo della Madonna rivolto a sua volta verso Dio
Padre, fanno alzare anche all'osservatore gli occhi, mentre il Padre Eterno
volge il proprio sguardo verso Maria e, attraverso di lei, su tutti i suoi
figli.
Attraverso Maria, attraverso la sua intercessione, come enfatizza la
spiritualità francescana. Questo ruolo mediatore della Madonna spinse molti
veneziani ad invocarla nelle loro ultime volontà testamentarie
(rivolgendosi a lei come «gloriosa», cioè assunta). Era certamente
una formula di rito, tuttavia carica di significato: invocare la Madonna
assunta mentre si disponeva dei propri beni per dopo la propria morte era
anche un raccomandarsi alla Vergine che, con la sua assunzione, aveva
promesso la resurrezione di tutti i beati.
Ma la distanza tra gli apostoli e la visione celeste è data anche da quel
semicerchio di nuvole che sostengono la Madonna: oltre le nuvole Tiziano
dipinse una scena di amore sublime tra la Vergine ed il Padre Eterno. Maria
che guarda verso Dio sollevando ed allargando le braccia per un abbraccio,
ricambiata dal Padre Eterno che la guarda attendendola con le braccia aperte
per accoglierla. Ecco allora che quelle nuvole rappresentano la "nube
della non-conoscenza", quella nube che si frappone tra Dio e gli uomini
e non può essere superata con la ragione. Come si può superare la
"nube della non-conoscenza" ce lo indica la scena appena descritta
che dipinse Tiziano: con l'amore. Ed è l'amore reciproco di Dio per la
Madonna e quello di Maria per Dio, è questo amore che ci consente di
avvicinarci alla luce.
S. Lorenzo Giustiniani aveva scritto anni prima il suo sermone per la festa
dell'Assunzione, rifacendosi al linguaggio del biblico Cantico dei Cantici.
Leggendo di fronte all'«Assunta» del Tiziano quel sermone del primo
Patriarca di Venezia ne possiamo ricavare quasi una descrizione letteraria. D'altra
parte quel sermone era sicuramente ben presente tra i frati committenti la
pala d'altare e probabilmente ne fecero partecipi il Tiziano stesso, o a
Tiziano diedero delle indicazioni in tal senso, non senza prima aver fatto
delle scelte sul testo del Giustiniani. E' significativo, ad esempio, che
mentre nel sermone per la festa dell'Assunzione c'è una descrizione del
funerale della Madonna, nell'opera del Tiziano questo non c'è, se non,
forse, un indiretto e labile riferimento negli apostoli che sembrerebbero
essersi radunati lì per seppellirla.
Giustiniani ricorda l'amore di Dio per noi, un amore così grande a causa
del quale arrivò ad inviare il suo Figlio che si immolò sulla croce per
salvare gli uomini ed avvicinarli al suo immenso amore.
Maria viene esaltata come Regina dei Cieli «sopra truppe di angeli»:
e Tiziano abbondò in schiere di angeli, tra cui quello a fianco del Padre
Eterno che reca in mano la corona con la quale la Madonna sarà incoronata "Regina
coeli".
Ed ancora, il trionfo della Madonna assunta: «Hodie cum ingenti gaudio
triumphabit in coelis...» («Oggi con grande gioia (la Vergine) ha
trionfato nei cieli, ed ha visto quello che aveva desiderato (...) e
l'ha visto (...) faccia a faccia, adornato con il candore
dell'immortalità. Ed essa tenne fra le braccia del cuore colui che aveva
cercato (...) Nessuno può descrivere l'ardore della Vergine, in
quale fuoco di desiderii essa bruciasse (...) come era libera da ogni
corruzione spirituale e corporea, così era estranea alla sofferenza della
morte...».
L'assunzione della Vergine desta stupore e meraviglia: stupore non solo tra
gli apostoli ma persino tra le «truppe di angeli», così come le
dipinse Tiziano, così come li fece esclamare Giustiniani, parafrasando il
Cantico dei Cantici: «Chi è costei che viene a noi con una tale
compagnia di angeli, simile ad un'aurora che sorge, bella come la luna,
eletta come il sole...?».
Sull'architrave scolpito, la statua di Cristo risorto attende la madre
dipinta da Tiziano. Ed ancora Giustiniani: «Vieni, madre mia del Libano,
vieni mia colomba, mia immacolata, mia bella, gentile e nobile come
Gerusalemme, tu sarai incoronata (...). Sali sul trono che ti avevo
preparato, prendi la corona ornata di gemme».
Nel sermone di S. Lorenzo Giustiniani, con stupore, così rispondeva
umilmente Maria: «Ho meritato questo? (...) Tu mi porti con grande onore al
culmine della perfetta gioia e al trionfo della gloria (...) Cosa
posso dire al mio Signore in cambio di tutto questo...? Sceglierò le sacre
parole di normale umiltà che tu stesso mi insegnasti (...) con
quelle stesse parole che dissi quando ti concepii, ti ripeto "Ecco
l'ancella del Signore: sia fatto di me secondo la tua parola".»
Queste ultime parole della Vergine sembrano proprio pronunciate nel momento
in cui Tiziano la ritrae nell'incontro con Dio Padre.
Tiziano riuscì ad interpretare efficacemente tutti questi concetti ed a
trasmetterli con il suo dipinto alla comunità dei fedeli raccolti davanti
all'altare.
L'«Assunta» fuori dei Frari
L'«Assunta» di Giuseppe
Porta, detto il Salviati, proveniente dalla demolita chiesa di Santa
Maria dei Servi, sostituì per più di un secolo quella del Tiziano
sopra l'altare di S. Maria Gloriosa dei Frari. Per adattarla all'ancona
esistente, il pittore Antonio Florian dovette aggiungere e dipingere
quasi due metri di tela nella parte inferiore: i gradini, la colonna
spezzata, il terreno scosceso. Questa è una vecchia fotografia in
bianco e nero perché l'attuale collocazione della tela nella Basilica
dei Santi Giovanni e Paolo non consente una ripresa fotografica.
In questo quadro, con
precisione quasi fotografica, Giuseppe Borsato raffigura la Sala I
della pinacoteca dell'Accademia durante la commemorazione di Antonio
Canova nel 1822: la parete di fondo è dominata dall'«Assunta» del
Tiziano.
L'«Assunta» venne dipinta da Tiziano per la Basilica dei Frari, per
l'altar maggiore, per quel preciso spazio della chiesa nel quale la possiamo
ammirare ancora oggi.
Ma non fu sempre così.
Ci furono degli anni che, per motivi diversi, la pala d'altare dovette
abbandonare la chiesa per la quale era stata concepita.
Agli inizi dell'Ottocento corse addirittura il rischio di abbandonare non
solo la chiesa, ma addirittura l'Italia, per essere trasferita in Francia (e
se le cose fossero andate in questo modo, oggi potremmo ammirarla al museo
del Louvre).
Con la capitolazione della Repubblica di Venezia e l'entrata delle truppe
francesi in città il 16 maggio 1797 si concludeva un'epoca, un ciclo
millenario per Venezia.
Non si trattava di un avvicendamento di governi, si trattava della fine
della libertà, della fine di una civiltà.
E cominciò l'epoca delle spoliazioni.
Durante la seconda occupazione francese, il 4 aprile 1806 tutto il complesso
dei Frari, dalla chiesa al convento, dagli arredi sacri alla biblioteca,
dalle opere di scultura a quelle di pittura, furono incamerati dal Demanio.
A sovrintendere per conto della Municipalità la fine che avrebbero fatto i
quadri (non solo quelli della chiesa e del convento dei Frari, ma di tutte
le chiese e conventi veneziani, nonché di congregazioni e scuole religiose)
fu incaricato sotto il Regno Italico Pietro Edwards, che era stato per 22
anni ispettore alle Belle Arti e segretario perpetuo dell'Accademia ancora
ai tempi della Repubblica.
Suo fu il compito di esaminare tutte le opere pittoriche per scegliere
quali, tra le migliori, fossero da destinare alla Corona ed ai palazzi reali
e quali lasciate al Demanio che ne poteva disporre come meglio credeva (per
lo più vendendole a privati).
L'Edwards esaminò quasi 13.000 quadri e, tra questi, naturalmente
anche l'«Assunta» dei Frari.
Pur essendo stato classificato tra i migliori, non partì mai per Parigi,
vuoi per le difficoltà tecniche di spedire un quadro di tali dimensioni
che, essendo stato dipinto su tavola, non poteva essere arrotolato, vuoi per
il personale interessamento di Pietro Edwards che, nonostante il compito che
gli era stato affidato, non poté fare a meno di scrivere nella sua
relazione alla Municipalità: «La lista esibitami (...) cagionò in me
un vivo sentimento di dolore nel vedere decretata la perdita di alcuni
nostri eccellenti esemplari...». Fu l'Edwards che ottenne che l'«Assunta»
fosse lasciata al suo posto.
Intanto veniva valutata positivamente l'opportunità che certe istituzioni
religiose, come le parrocchie, fossero mantenute in vita, in quanto utili
per l'istruzione e l'educazione del popolo. Così la chiesa di S. Maria
Gloriosa venne tenuta aperta diventando sede, dal 25 ottobre 1810, di una parrocchia
affidata alla diocesi di Venezia.
Venezia era stata riassegnata agli austriaci quando, il 20 maggio 1815, il
conte Leopoldo Cicogna, presidente dell'Imperial Regia Accademia di Belle
Arti, propose di trasferire la pala dell'«Assunta» del Tiziano, «la
più preziosa forse che sia in Venezia», in una delle sale
dell'Accademia che in quegli anni stava prendendo forma nella nuova sede
della ex chiesa e della ex scuola della Carità, ristrutturate, per non dire
devastate, dall'architetto Giannantonio Selva. La proposta venne motivata col fatto che l'«Assunta»
aveva bisogno di restauri ed era «inferiormente abbruciata dalle candele
del maggior Altare», in chiesa era custodita con poca cura, ed
all'Accademia poteva esser «meglio veduta e gustata dal pubblico».
Ai Frari, al suo posto, venne collocata una tela di Giuseppe Porta, detto il
Salviati, proveniente dal demolito complesso del monastero e chiesa dei
Servi di Maria. Al quadro, per poterlo adattare alle misure della cornice
preesistente dell'«Assunta» del Tiziano, il pittore Antonio Florian
dovette aggiungere quasi due metri di tela; nella parte bassa dipinse un
terreno scosceso, un frammento di colonna e dei gradini.
Particolare
del progetto di Francesco Lazzari per la sistemazione dell'«Assunta»
nella Sala I della pinacoteca dell'Accademia.
La pinacoteca dell'Accademia venne aperta al pubblico per la prima volta, e
per un breve periodo, il 10 agosto 1817 ed in questa occasione i visitatori
poterono vedere l'«Assunta» nella sua nuova collocazione nella
prima sala.
A darci un'idea di come doveva apparire l'opera del Tiziano nella pinacoteca
dell'Accademia ci viene in soccorso un quadro di Giuseppe Borsato che ci
documenta, con una precisione quasi fotografica, la sala dell'Albergo
(attuale sala I) in occasione della commemorazione di Antonio Canova nel
1822: l'«Assunta» si trova sulla parete di fondo.
Nel 1886 ci fu un nuovo trasloco per l'«Assunta»: sempre nelle
gallerie dell'Accademia, ma in una nuova ambientazione progettata da Giacomo
Franco.
Il 12 marzo 1917, durante la prima guerra mondiale, per timore delle
incursioni su Venezia, data la vicinanza del fronte del Piave dove si
combatteva, l'«Assunta» venne trasferita provvisoriamente a Cremona:
il trasporto avvenne via fiume, per opera del Battaglione Lagunari del 4°
Genio. A Cremona venne ospitata nel museo Ala Ponzone fino a novembre.
Successivamente, a seguito della piega che avevano preso gli eventi bellici con
la battaglia di Caporetto, venne ulteriormente allontanata dal Nord: con un
vagone ferroviario appositamente allestito l'«Assunta» raggiunse Pisa
nel novembre 1917 dove trovò temporaneo rifugio nel Palazzo Reale.
Al termine del conflitto l'«Assunta» poté tornare a Venezia ed il
14 dicembre 1919 fu accolta a S. Maria Gloriosa dal parroco, monsignor Paolo
Pisanello, dove ritrovò la sua originaria collocazione dopo 102 anni di
assenza.
Poi fu la volta della seconda guerra mondiale, durante la quale venne trasferita
prima a Strà e poi a Ca' Rezzonico: terminata la guerra, il 13 agosto 1945,
tornò finalmente di nuovo ai Frari, giusto in tempo per la festa
dell'Assunzione del successivo 15 agosto 1945.
L'arrivo
dell'«Assunta» imballata a Cremona nel marzo 1917 dopo il trasporto
fluviale (Cortesia
Elena Franchi).
Il
ritorno a S. Maria Gloriosa della pala dell'«Assunta»: è il 14
dicembre 1919 (Archivio
Fotografico della Basilica dei Frari).