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mesi trascorsero dal momento del crollo del campanile di San Marco
all'inaugurazione di quello ricostruito: quasi dieci anni.
Solo sei anni e mezzo però furono di lavoro materiale: il resto del tempo
venne impiegato per ricognizioni, studi e ricerche, nonché per la stesura
e verifica dei progetti, ma anche per discussioni e polemiche che
arrivarono a fermare per quasi un anno i lavori.
Il
masso di fondazione liberato nel marzo 1903 (Foto
"L'Illustrazione Italiana").
I
lavori di sgombero delle macerie del vecchio campanile crollato si
conclusero all'inizio del 1903 sotto la direzione dell'architetto ed
archeologo veneziano Giacomo Boni (1858-1925). Come
abbiamo scritto durante le operazioni di sgombero della Piazza vennero
recuperati tutti i frammenti artistici del campanile e della Loggetta che
si potevano trovare: statue, colonne, capitelli, bassorilievi ed altri
reperti lapidei.
Naturalmente si trovarono anche antichi mattoni, molti di epoca romana,
che recavano sigle e marchi, a conferma della frenetica attività di
ricerca degli antichi veneziani di tutto il materiale che si poteva
recuperare per costruire la torre.
Tra le macerie furono rinvenute anche alcune monete: la più antica
risaliva agli inizi del XV secolo e si può ragionevolmente ipotizzare che
fossero state perse da visitatori, o facessero parte di elemosine o mance
date ai custodi.
Giacomo Boni, nel 1885, si
era già interessato al campanile effettuando dei sondaggi sulle
fondazioni. A quell'epoca aveva espresso delle preoccupazioni sullo stato
di salute delle fondamenta.
Adesso, ad edificio crollato, il Boni procedette ad uno scavo in
profondità attorno al masso di fondazione per verificarne la solidità e
saggiare la consistenza del terreno circostante.
Come era prevedibile il Boni incontrò le fondazioni di antichi edifici
che non esistevano più: quelle dell'Ospizio Orseolo, il cui porticato era
allineato nella Piazza con il campanile, demolito verso la fine del XVI
secolo, e quelle di un edificio, probabilmente facente parte delle
innovazioni urbanistiche volute da Sebastiano Ziani (Doge dal 1172) che
venne abbattuto da Jacopo Tatti detto il Sansovino (1486-1570) per attuare
il suo progetto di riqualificazione della Piazza che prevedeva la
costruzione della Libreria e della Loggetta, staccando il campanile dagli
altri edifici vicini.
Continuando nelle ispezioni fu ritrovata anche la primitiva pavimentazione
della Piazza, in mattoni disposti a spina di pesce, risalente al XIII
secolo e successivamente ricoperta nel 1723-25 da Andrea Tirali (1660
circa-1737) con quella in trachite.
Ma la sorpresa maggiore, almeno per la gente comune e per i non addetti ai
lavori, fu lo scoprire che i tre gradoni di trachite sui quali si ergeva
il campanile erano in realtà cinque: due, e buona parte del terzo, si
trovavano nascosti sotto il piano di calpestio della Piazza, coperti
soprattutto dall'innalzamento della Piazza causato dalla nuova
pavimentazione del Tirali.
Questo fatto genererà delle conseguenze al
momento della ricostruzione della torre.
L'ingegnere
Luca Beltrami (1854-1933).
Continuando
nello scavo fino a dieci metri di profondità, vennero rilevati i vari
strati di fango, di argilla e sabbia che si susseguivano. Ma le vecchie
fondazioni del campanile si arrestavano prima.
Il
lato Est dell'antico masso di fondazione.
In profondità erano stati conficcati centinaia di pali di legno per
costipare il terreno rendendolo solido e compatto.
Sopra di questi era stato costruito uno zatterone formato da due
strati di tavolato; da qui cominciava la fondazione lapidea, come abbiamo
già spiegato qui, che
terminava con i cinque strati di trachite che formavano i gradoni sui quali
era stata fabbricata la torre laterizia.
Nonostante l'eterogeneità del materiale, di provenienze diverse, nel
complesso le fondazioni con il circostante terreno risultavano in buono
stato e venne escluso che stesse lì la causa del crollo.
Si era molto favoleggiato nel passato sulle dimensioni delle fondamenta
del campanile: c'era chi diceva che erano profondissime e si estendevano
per tutta la Piazza; Marco Caccio Sabellico (1436-1506) le descriveva con
degli speroni laterali che si allungavano formando una stella. In realtà
il masso di fondazione era assai più modesto ed era profondo 3,68 metri;
d'altra parte era nato per sostenere una torre di più modeste dimensioni
e meno pesante, caratteristiche che cambiarono radicalmente quando agli
inizi del XVI secolo l'altezza quasi si raddoppiò con la sovrapposizione
della nuova
loggia, il dado e l'altissima cuspide in pietra e marmo che
aumentarono anche il peso complessivo del manufatto in maniera rilevante.
Si aprì contemporaneamente un dibattito sull'opportunità, nella fase
della ricostruzione, di costruire ex novo le fondazioni. Giacomo
Boni fu il primo ad ipotizzare un intervento teso ad allargare il masso
fondativo.
Per approfondire gli aspetti tecnici, venne incaricato l'ingegnere Luca
Beltrami (1854-1933).
Quando il 1° marzo 1903 il masso di fondazione era stato completamente
liberato, a Beltrami risultò chiaro che, pur nella limitatezza delle sue
dimensioni, era ben saldo, come ben compatto e solido era il terreno
circostante.
Tuttavia sarebbe stato utile allargarlo in modo da distribuire meglio il
peso del nuovo campanile che si sarebbe andati a costruire: da 9
chilogrammi per centimetro quadrato a 4 Kg per cm².
Un
momento della cerimonia della posa della prima pietra (Collezione
privata).
Oltre
a questo, Beltrami sottolineava la necessità che il nuovo campanile
risultasse più leggero del precedente, utilizzando (tra l'orrore dei puristi)
il cemento armato per le strutture interne evitando così gli
inconvenienti alle rampe che avevano determinato il collassamento della
vecchia torre. Intanto era stata fissata per le ore 15 di sabato 25 aprile 1903, festa di
San Marco, la cerimonia della posa della prima pietra per la ricostruzione
del campanile e della Loggetta.
L'elenco delle autorità dimostra la solennità e l'importanza che venne
data a quel momento: in rappresentanza del Re era presente Sua Altezza
Reale Vittorio Emanuele di Savoia, Conte di Torino, (1870-1946) e poi
(citando in ordine sparso senza rispettare la gerarchia) il Patriarca di
Venezia, Cardinale Giuseppe Sarto (1835-1914) che solo tre mesi più tardi
sarebbe divenuto Papa assumendo il nome di Pio X, il Ministro della
Pubblica Istruzione Nunzio Nasi (1850-1935) ed il suo omologo francese
Joseph Chaumié (1849-1919), il Prefetto di Venezia Giovanni Cassis
(1853-1938), il Sindaco Filippo Grimani (1850-1921) con tutti gli
assessori ed i consiglieri comunali, i senatori ed i deputati veneziani, i
presidenti della Corte d'Appello e della Procura Generale, generali ed
ammiragli, alcune dame della Regina Elena, il Presidente della Provincia,
i sindaci di molte città, quali Torino, Genova, Bologna, Padova, Verona,
Rovigo e Vicenza, altre autorità e notabili.
Biglietto d'invito alla cerimonia della posa della prima
pietra per la ricostruzione del campanile e della Loggetta di San
Marco (Fotocopia).
Nonostante l'inclemenza del tempo che si presentava con nuvoloni plumbei
che si muovevano veloci sospinti da un vento gagliardo, che però
riversarono sul pubblico solo poche gocce di pioggia, la Piazza era piena
all'inverosimile di gente comune che si era mossa di buon mattino per
occupare la posizione migliore: oltre alla Piazza, aveva occupato la
loggia della Basilica, le terrazzette della Torre dell'Orologio, la loggia
di Palazzo Ducale (dove si dovevano pagare tra le cinque e le dieci
lire!); altra gente si era sistemata addirittura tra i fregi e gli angeli
della Basilica, tra i merli di Palazzo Ducale ed anche sui tetti delle
Procuratie: «Non avvennero accidenti, e questo possiamo dirlo a paura
passata, ma non era impossibile che ne potessero avvenire. E chi calcola
le conseguenze della caduta anche di un pezzo di pietra in tali
circostanze? La confusione, la paura, la fuga quali disgrazie portano
seco?». Qua e là qualcuno aveva portato delle scale doppie che si
erano subito trasformate in grappoli umani. Non c'era spazio neppure per i
colombi: «I colombi, a cui era stato tolto tutto lo spazio, si mostravano
riuniti fitti, fitti sulla facciata del palazzo reale verso l'Ascensione.».
Il medesimo cronista osservò che l'Onorevole Pompeo Molmenti (1852-1928),
invitato nel palco delle autorità, giunto all'ultimo momento non riuscì
a raggiungere il posto assegnato a causa della folla e dovette ripiegare
sulla tribuna dei giornalisti.
Alle 14.50 da una porta laterale della Basilica di San Marco che conduce
all'androne di Palazzo Ducale uscì il Patriarca di Venezia Giuseppe
Sarto, preceduto dal cerimoniere Don Rosada, preti e canonici. Il piccolo
corteo attraversò la Porta della Carta per dirigersi al palco.
Cinque minuti dopo fu la volta del Conte di Torino ad uscire dal palazzo
reale, attraversando due schieramenti di militari di fanteria e
d'artiglieria mentre la banda militare e quella municipale intonarono la Marcia
Reale. Alle 15 in punto cominciarono i discorsi: il primo fu quello
del Sindaco Grimani, cui fece seguito quello
del Ministro Nunzio Nasi ed infine il discorso
del Ministro Chaumié pronunciato in francese «...lentamente,
quasi scandendo le sillabe...» e salutato al termine dalla banda
municipale con le note della Marsigliese.
Inutile a dire che tutti i discorsi furono uditi solo da chi stava nelle
tribune: in Piazza giunse al massimo qualche spezzone di frase.
Alle 15.25 tutti ebbero finito di parlare ed il Patriarca si mosse per
benedire la prima pietra ed il vano che doveva accoglierla: «Il sole in
questo momento s'apre la via tra le nuvole e inonda di luce la Piazza. Non
per amore di retorica, ma per la cronaca bisogna constatare che il sole
concorre a rendere più bella, più imponente la solennità.».
In quel momento arrivò fin sulla Piazza il suono festoso delle campane di
tutte le chiese veneziane.
Terminata la benedizione, al Patriarca venne portata una cazzuola
artistica disegnata da Augusto Sezanne (1856-935) che, nove anni più
tardi, avrebbe composto la vignetta per i francobolli celebrativi
dell'inaugurazione del campanile ricostruito.
La cazzuola, che era stata realizzata dall'incisore e orafo veneziano
Alessandro Santi, era in rame dorato ed il manico in legno era stato
ricavato da un frammento dell'antica palificazione su cui sorgeva il
campanile crollato.
Nel foro, benedetto poco prima dal Cardinale Sarto, vennero posti una
pergamena commemorativa arrotolata entro un tubetto di rame ed alcune
monete coniate sotto il Regno di Vittorio Emanuele III, a certificare,
secondo un'antica usanza, l'epoca dell'inizio dei lavori. Quindi due
operai calarono la grossa pietra, la prima pietra, nel buco mentre
l'imprenditore Marco Torres aveva raccolto un po' di malta su un frattazzo.
Il Patriarca porse la cazzuola al Conte di Torino che simbolicamente
lasciò cadere la malta nel vano occupato ormai dalla pietra; quindi la
cazzuola tornò nelle mani del Patriarca che ripeté il gesto per poi
passare in quelle del Ministro Nasi, del Sindaco e dell'ingegnere Luca
Beltrami. La cerimonia si concluse con il discorso
del Patriarca che ebbe un passaggio significativo quando invocò la
benedizione del Cielo affinché «...nel principio, nel progresso e nel
compimento dell'opera stiano lontane le sventure, che non di rado incolgono i
poveri lavoratori...». Il voto del Patriarca fu esaudito perché, nei
molti anni durante i quali durarono i lavori, gli infortuni e gli
incidenti
furono pochi, di modesta gravità e nessuno mortale: i più gravi
riguardarono distorsioni e contusioni.
Il
12 giugno 1903, persistendo le polemiche attorno alle soluzioni da
adottare per la ricostruzione del campanile, l'ingegnere Beltrami
rassegnò le proprie dimissioni. Venne quindi nominata una commissione di
studio presieduta dall'architetto Gaetano Moretti (1860-1938) che, già in
agosto, condivise le soluzioni del Beltrami con un progetto che, se da un
lato manteneva la tradizione, dall'altro considerava indispensabile usare
le tecnologie edilizie più moderne, compreso l'uso del cemento armato.
L'architetto
Gaetano Moretti (1860-1938).
Venne definito l'allargamento del masso di fondazione, come già
aveva previsto il Beltrami e, prima di lui, ipotizzato Giacomo Boni.
Vennero quindi conficcati nel terreno quasi 3100 pali di legno di
rovere del diametro di circa 20 centimetri, lunghi quattro metri livellando le teste con la stessa altezza di
quelli antichi. Su questa nuova palificazione, che circondava quella
originaria, vennero collocate su tre strati le tavole che costituivano lo zatterone
in modo che si compenetrasse con quello esistente.
Il progetto prevedeva degli accorgimenti di
interconnessione strutturale tra la nuova base e la vecchia in modo da
ottenere un unicum assolutamente monolitico. In realtà nei decenni
successivi ci si rese conto che non si era riusciti ad ottenere
completamente lo scopo e questo determinò la necessità di un lungo
e sofisticato intervento che iniziò nell'ottobre 2007.
Vennero quindi collocati i blocchi di pietra d'Istria e trachite, tagliati
con precisione e cementati, sempre interconnettendoli con la struttura
originaria. In pratica, con questo sistema, identico a quello usato quasi
un millennio prima, si ottenne un aumento della superficie del masso di
fondazione di 410 metri quadrati.
Così, irrobustito ed allargato il masso di fondazione originario, si
poteva ben dire che il nuovo campanile sarebbe sorto sulle radici
dell'antico.
Durante i lavori per allargare le fondazioni, vennero alla luce frammenti
di cippi, lapidi, marmi con fregi ed iscrizioni di epoca romana: si
trattava di materiale che, già probabilmente nel X secolo, gli antici
veneziani avevano recuperato per usufruire come materiale di
costruzione e di riempimento.
Le
fondazioni del campanile di San Marco in un dipinto del 1903
di Giuseppe Cherubini (1867-1960) (Olio
su tela, Galleria Internazionale d'Arte Moderna di Ca' Pesaro,
Venezia).
L'assenza del campanile di
San Marco in Piazza è visibile anche in questo cartoncino
pubblicitario della fabbrica di vetri Pauly & C. che indica come
raggiungere il loro punto vendita dalla fornace che si trovava al
ponte dei Consorzi (il ponte dei Consorzi deve il suo nome al fatto
che qui si trovava la sede dei Consorzi di prosciugamento e di
bonifica, più anticamente era chiamato ponte Morosini).
Il punto vendita esiste tutt'ora (2012) (Collezione
privata).
Inserito
nel masso di fondazione originario, il 22 maggio fu rinvenuto un grande
frammento di marmo di Verona (di oltre un metro di lato per 22 centimetri
d'altezza) di una lapide funeraria. Da quello che si legge nell'epigrafe,
era stato concesso il luogo di sepoltura ad un certo Lucio Ancario, figlio
di Caio, della tribù Romulia, ed ai suoi discendenti; era stato un
distinto personaggio che aveva percorso la carriera dell'ordine equestre,
due volte tribunus militum, prefetto dei fabbri, duumviro e àugure.
Nel marzo 1906 furono collocati i cinque gradoni in trachite sui quali
doveva sorgere la torre laterizia; il progetto prevedeva che i cinque
gradoni emergessero dal piano della Piazza, così come era prima
dell'intervento sulla pavimentazione di Andrea Tirali.
La commissione presieduta da Gaetano Moretti aveva fatto un'accurata
indagine sulla scelta dei mattoni per cercare di ottenere una coloritura
che fosse simile a quella degli originali: ricerca difficile perché la
vecchia struttura aveva subito nei secoli vari rifacimenti parziali e non
si presentava di un colore uniforme. A questo si deve aggiungere che
originariamente era intonacata, almeno su tre lati. Inoltre i mattoni
dovevano possedere ottime caratteristiche di resistenza, essendo destinati a
sopportare un peso non indifferente, nonostante il progetto prevedesse un
alleggerimento complessivo di tutta la canna campanaria. I mattoni, della
misura di centimetri 15 x 30 x 7, furono forniti appositamente da una
fornace di Casale sul Sile.
Un'attenzione particolare fu rivolta alla scelta della malta che li
legava: essa fu una moderna malta di cemento.
Nel marzo del 1906 ci fu un'altra cerimonia, seppure meno solenne di
quella del 25 aprile 1903, durante la
quale il Sindaco Grimani posò il primo mattone.
A
destra (guardando) della Basilica si vede la recinzione che
delimita il cantiere della ricostruzione del campanile (Collezione
privata).
Quando la costruzione raggiunse i sette metri d'altezza, scoppiò la
polemica dei puristi, legata inizialmente alla questione dei cinque
gradoni della base: il «come era» doveva intendersi come appariva
alla vista, o come era intimamente, con i cinque gradoni di cui due
nascosti?
La polemica filologica, che oggi ci può fare sorridere, fu molto
accesa e lasciò un profondo ricordo nei veneziani: mio padre, che
all'epoca era bambino, sessant'anni dopo ancora me la raccontava
parlandomi della ricostruzione.
La polemica si estese anche alla coloritura dei mattoni e fu tanto vivace
da condurre, il 2 luglio 1906, alla sospensione dei lavori.
Se ne
interessò la commissione del Moretti, un collegio di esperti, una
sottocommissione scientifica. Tutto l'intero progetto di ricostruzione
venne messo in discussione.
Alla fine venne definitivamente stabilita la correttezza delle scelte ed
il 26 maggio 1907 (dopo quasi un anno!) i lavori poterono riprendere.
Il
manifesto per l'ottava Esposizione Internazionale d'Arte del
1909 mostra il campanile in costruzione che ha raggiunto la
cella campanaria (Collezione
privata).
La
ricostruzione della cuspide (Collezione
privata).
Il
campanile cresceva in altezza: è evidente che gli operai potevano
lavorare alla struttura fino a circa due metri e mezzo; poi si sarebbe
dovuto costruire un altro ponteggio per proseguire per altri due metri e
mezzo, e così via fino al completamento della canna laterizia. Un sistema
decisamente laborioso che avrebbe dilatato i tempi oltre misura.
Fu così che l'ingegnere Daniele Donghi (1861-1938), al tempo capo
dell'Ufficio Tecnico del Comune di Venezia, ideò un'armatura mobile che
potesse essere mantenuta per tutta la durata dei lavori alzandosi con il
crescere del campanile.
Il
"castelletto" mobile ideato dall'ingegnere Donghi (Collezione
privata).
Questo particolare castelletto, costruito una volta sola, era
fissato su quattro travature ai quattro lati e veniva innalzato con il
progredire della costruzione, senza perdite di tempo (l'operazione
richiedeva solo tre ore) e consentiva di lavorare anche sotto la pioggia
essendo coperto.
In questo modo in poco più di un anno venne completata la costruzione di
mattoni.
Raggiunta la cella campanaria ed issate le campane nel giugno 1909, il 27
luglio 1909 il ponteggio mobile dell'ingegnere Donghi venne
definitivamente smantellato mentre si provvedeva ad allestire la cella
campanaria con il dado sormontato dalla cuspide.
Sulla soletta in cemento armato fu montato l'apparato lapideo in gran
parte originale, essendo stati recuperati, restaurati e ricomposti gli
elementi in pietra d'Istria: ad esempio delle dodici teste di leone che
sporgono da sopra le colonne della cella, solo due dovettero essere
rifatte: i due bassorilievi sul dado rappresentanti Venezia sotto forma di
Giustizia sono ugualmente quelli originali, opportunamente restaurati.
Invece furono rifatti i due leoni di San Marco da Emilio Marsili
(1841-1926) e da Carlo Lorenzetti (1858-1945): quelli originali del
1512-13, opera di Pietro Bon (o Buono), erano
stati scalpellati durante la prima dominazione francese su proposta del
medico Rocco Melancini.
Oltre alla ricostruzione del campanile, che ormai procedeva spedita, c'era
da pensare anche al rifacimento della pavimentazione che era stata
gravemente lesionata ed in parte distrutta dal crollo. All'inizio del 1911
venne incaricata la Ditta Cini Giorgio di Ferrara che, seguendo
scrupolosamente le severe prescrizioni del Comune che si preoccupavano affinché
non vi fosse la minima differenza estetica tra il vecchio ed il nuovo
lastricato, riuscì a completare il lavoro in 16 mesi anziché i 18
contrattualmente previsti.
Nel giugno 1910 fu completata la cella: le campane, che erano state
portate lì un anno prima, trovarono la loro collocazione in una struttura
appositamente progettata al fine di minimizzare gli effetti del movimento
oscillatorio sulla torre.
Completato il dado con i bassorilievi (maggio 1911) mancava ancora
l'angelo: questo con la caduta si era frammentato ed il meccanismo che gli
consentiva di ruotare sul proprio asse per indicare la direzione del vento
era inutilizzabile. Venne quindi affidato
alle cure di Emanuele Munaretti e collocato sulla cima del campanile
il 5 marzo 1912.
L'inaugurazione
dell X Esposizione Internazionale delle Art a Venezia il 23 aprile
1912 (Foto
"La Domenica del Corriere". Collezione privata).
La
solennità della cerimonia per la posa della prima pietra (25 aprile 1903)
dovette impallidire di fronte a quanto fu fatto per l'inaugurazione del
campanile compiuto, ancora una volta nel giorno di San Marco (25 aprile)
del 1912.
Quella settimana, che qualche cronista non esitò a definire «...la
settimana di San Marco...», vide un concentrarsi di avvenimenti e
feste che portò uno smisurato numero di persone a Venezia, numero di
persone che nulla aveva da invidiare con gli odierni affollamenti della
città in occasione dei vari eventi che vi si tengono.
Doveva essere presente la Famiglia Reale, ma il Re Vittorio Emanuele III
(1869-1947), che era stato a Venezia appena un mese prima per incontrare
l'Imperatore Guglielmo II von Hohenzollern (1859-1941) e discutere con lui
dei gravi problemi internazionali che scuotevano l'Europa, rinunciò
preferendo non assentarsi dalla capitale per seguire le vicende
italo-turche in Libia ed in Egeo.
In sua rappresentanza giunse in città Tommaso di Savoia, Duca di Genova
(1854-1931).
Già lunedì notte si fecero delle prove di illuminazione elettrica degli
edifici di Piazza San Marco per la grande festa di luci in programma per
giovedì sera, mentre martedì 23 il Duca di Genova inaugurò la X
Esposizione Internazionale delle Arti, alla quale intervennero
rappresentanti del Governo e del Parlamento, oltre agli ambasciatori e
ministri degli Stati espositori.
Il manifesto dell'Esposizione, disegnato da Augusto Sezanne (1856-1935),
mostrava tra le cupole di San Marco ed uno sventolio di bandiere, la
cella del campanile ricostruito con le campane suonate a distesa e
la scritta «POST - FATA RESVRGO».
L'esposizione venne definita «...anche più interessante delle
precedenti pel fatto che in essa ha larga parte l'arte nostrana...» (sic!).
Piazza
San Marco straripante di folla per l'inaugurazione del campanile (Foto
"La Domenica del Corriere". Collezione privata).
Per
tutta la giornata di mercoledì ci fu una continua ed ininterrotta
affluenza di persone che si erano messe in viaggio per essere presenti
alla cerimonia inaugurale del campanile. Ma, a causa anche dell'apertura dell'Esposizione Internazionale, la città già da
alcuni giorni era «...affollata di forestieri...» in un numero tale che
«...non ne potrebbe contenere di più...».
Gli alberghi erano tutti esauriti, a Venezia come al Lido, e così le case
private e gli affittacamere. Non pochi furono quelli che, non avendo
prenotato, cercarono un tetto a Treviso, Padova e persino a Vicenza.
Eppure anche gli ultimi treni arrivati a tarda sera erano stracarichi e
per moltissime persone non restò altro che trascorrere la notte girando
per le calli, fermarsi nei caffè, sedersi sulle gradinate di San Simon
Piccolo o della Basilica della Salute; non pochi pensarono addirittura di
raggiungere Piazza San Marco per guadagnare i posti migliori.
Furono almeno centomila gli ospiti in città, dei quali sessantamila
giunti nella sola giornata di mercoledì.
Tra gli stranieri vi era anche una numerosa rappresentanza di istriani e
di dalmati che continuavano a nutrire un sincero affetto per la città che
per tanti secoli li aveva governati.
Un ospite particolare della
città fu un monoplano Caproni giunto al Lido che poi sorvolò la città
lasciando cadere su di essa volantini colorati con scritte augurali.
Alla sera ci fu un'altra prova generale di illuminazione elettrica della
Piazza: la voce di questo esperimento circolava già dalla tarda mattina,
così alle otto di sera c'era un relativo affollamento di curiosi. Dopo
alcune accensioni parziali di luci, alle nove tutti gli edifici si
illuminarono per pochi minuti riempiendo di stupore ed ammirazione i non
pochi presenti. Ci furono anche delle prove musicali durante le quali
l'orchestra intonò la Marcia Reale.
Giovedì 25 aprile fu il grande giorno: alle cinque del mattino parte di
Piazza San Marco era già stata occupata dai più previdenti che sapevano
che almeno due terzi delle persone presenti a Venezia non sarebbero
riusciti ad entrare e da quelli che non avevano trovato un tetto
sotto il quale trascorrere la notte.
Le calli erano strapiene di persone che accorrevano verso l'area marciana:
alle sette la Riva degli Schiavoni fino al Ponte della Paglia era già
stipata di gente e così pure le Mercerie e San Moisè. Altri si
accontentarono di vedere da lontano affollando il Campo della Salute fino
alla Punta della Dogana.
Il
corteo acqueo con le autorità in arrivo al molo di San Marco (Foto
"La Domenica del Corriere". Collezione privata).
Per
le calli, ma anche nelle Mercerie, all'Ascensione, in Piazza ed in
Piazzetta, giravano venditori ambulanti con cartoline del vecchio e del
nuovo campanile, della campana Marangona,
della Loggetta
del Sansovino oppure con testi di poesie, odi, sonetti dedicati
all'avvenimento, oppure con bandierine.
C'erano in vendita addirittura cartoline con l'immagine
dell'inaugurazione, che doveva ancora avvenire! Era un disegno di fantasia
con una Piazza piena di gente, ma non tanta quanta in realtà stava per
giungere.
Cartolina
con un disegno (di fantasia) che mostra l'inaugurazione del
Campanile di San Marco stampata prima dell'avvenimento e
venduta come souvenir. Venne spedita da Venezia il 26 aprile
1912 per Chivasso dove arrivò il 28 aprile (Collezione
privata).
Furono occupate anche le finestre delle Procuratie Vecchie, quelle attorno
alla Torre dell'Orologio e dell'Hotel Belle Vue: pare che un terrazzino
sia stato affittato per poche ore a 500 lire!
Se c'era ressa per le calli ed i campielli, non meno ressa c'era per le
vie d'acqua ed in Bacino di San Marco: oltre al via vai di vaporini,
gondole ed altre imbarcazioni imbandierate a festa, erano ormeggiate la
nave Etruria e di fronte alla Riva degli Schiavoni, all'altezza del
Monumento a Vittorio Emanuele II, l'ammiraglia Goito.
Intanto in Campo San Provolo, alle sette e mezza, si radunarono 2040
bambini delle scuole pubbliche di Venezia. Tutti avevano ricevuto una
bandierina con il Leone di Venezia, distribuito dal Comitato Viva San
Marco e portavano divise diverse secondo la scuola di provenienza; un
cronista, che si era soffermato su quelle delle fanciulle, annotò che «...quelle
di Santa Fosca, in bianco, con il leone di S. Marco di stoffa sul
cappellone pure bianco erano elegantissime.».
Verso le otto, accompagnati a squadre dai rispettivi insegnanti, andarono
ad occupare la loggia del Palazzo Ducale da dove dovevano intonare dei
canti.
Alle otto e mezza il Questore di Venezia Francesco Gervasi vietò
l'accesso alla Piazza ormai stracolma di gente, ma migliaia di persone
continuavano a spingere per cercare di raggiungere lo steccato delle
tribune e le porte laterali della Basilica dal lato di Sant'Alipo,
nonostante un cordone di guardie cercasse di impedire il passaggio. Fu
necessario inviare altri sessanta uomini di rinforzo.
I palazzi che si affacciano sul Canal Grande erano imbandierati e adornati
di damaschi ed arazzi che scendevano dai balconi per salutare il corteo che
alle nove e un quarto partì dalla riva del Municipio: era formato dalle
colorate bissone che accompagnavano le gondole addobbate a gala
sulle quali erano salite le autorità. Dietro si era formato un seguito di
barche delle società sportive Bucintoro e Querini, «...molte altre
gondole e canotti automobili...» con i rematori in eleganti costumi
d'epoca.
Dalle rive, dai ponti, dai palazzi e dalle altane era tutto un continuo
lunghissimo applauso ed uno sventolio di bandiere.
Il tragitto del corteo durò venti minuti fino al molo di San Marco: pochi
minuti dopo le autorità, giunse con perfetto tempismo anche la gondola
con S. A. R. Tommaso di Savoia, Duca di Genova,
che venne ricevuto dal Ministro Luigi Credaro (1860-1939), dal Sindaco di
Venezia Filippo Grimani, dalla Giunta, il Prefetto, altre autorità ed i
diplomatici in alta uniforme.
Il
corteo delle autorità in Piazzetta (Foto
"La Domenica del Corriere". Collezione privata).
L'inaugurazione
del campanile di San Marco sulla prima pagina de "La Domenica
del Corriere" del 5-12 maggio 1912 (Collezione
privata).
L'orchestra intonò la Marcia Reale mentre il corteo si dirigeva verso la
tribuna d'onore, a ridosso del campanile, tra uno sventolio di migliaia di
bandierine ed acclamazioni di giubilo.
I ragazzini delle scuole, dalla loggia del Palazzo Ducale, intonarono
canti patriottici e l'inno "Torre degli avi, faro di gloria"
seguiti da calorosi applausi, cessate i quali, alle dieci in punto, il
Sindaco Grimani prese
la parola, rivolgendosi al Duca di Genova.
Seguì il discorso del
Ministro Credaro che esordì citando il motto «Dov'era e come era»
(anche se invertendo i termini, anteponendo il «come era») e
concludendo con le parole «In nome di Sua Maestà il Re, inauguro il
risorto campanile di San Marco!».
La cerimonia religiosa, presenziata dal Patriarca di Venezia, Cardinale
Aristide Cavallari (1849-1914) ebbe inizio sull'altare maggiore della
Basilica di San Marco.
La liturgia era stata appositamente dettata per la circostanza dal
Pontefice Pio X, che era stato Patriarca di Venezia dal 1896 al 1903, il
quale aveva anche incaricato Monsignore Lorenzo Perosi (1872-1956), che
aveva conosciuto ed apprezzato ai tempi in cui questi era direttore della
Cappella Marciana, di musicare il rituale per la benedizione del
campanile.
Dopo la recita dei salmi e delle litanie con la musica suonata dalla
Cappella musicale diretta dal cavaliere Delfino Thermignon (1861-1944), si
formò un corteo, al quale parteciparono anche i parroci delle trenta
parrocchie della città, che uscì dal portale principale della Basilica
raggiungendo il faldistorio preparato sopra un tappeto rosso.
Il
Patriarca di Venezia, Cardinale Aristide Cavallari, benedice
il campanile ricostruito (Foto
"La Domenica del Corriere". Collezione privata).
Dopo le preghiere composte dalla Congregazione dei Riti, il Patriarca
girò attorno alla torre aspergendola di acqua benedetta, quindi entrò
nel campanile ripetendo il gesto sulle mura interne.
Uscito invocò Dio che, con l'intercessione della Madonna e
dell'Evangelista Marco, preservasse il campanile da ogni male.
Alla fine il Patriarca si rivolse verso il campanile con le parole: «Ut
locum istum visitare digneris. Te rogamus audi nos. Ut in eo Angelorum
custodiam deputare digneris. Te rogamus audi nos.». Il Patriarca doveva ancora terminare l'invocazione e fare tre volte il
segno di croce che le campane si sciolsero in un concerto festante mentre
vennero liberati in cielo 2500 colombi viaggiatori, provenienti da diverse
città d'Italia, con l'incarico di portare la notizia dell'inaugurazione
del rinato campanile per tutta la penisola.
Le campane suonarono per dieci minuti tra un delirio continuo di centomila
persone, applausi, sventolio di bandiere ed una commozione generale «...così
da giungere fino alle lacrime.».
Non furono solo i presenti a commuoversi: infatti era stato fatto un collegamento
straordinario diretto telefonico con la Santa Sede a Roma ed il Papa Pio X
poté udire via filo il lieto scampanio delle nuove campane di San Marco
che lui stesso aveva donato. I testimoni raccontarono che, alla meraviglia
ed allo stupore per il "miracolo" della tecnica, subentrò nel
Santo Padre una profonda e sincera commozione.
Al termine dei dieci minuti ininterrotti di scampanio, un altro concerto si levò da Venezia: quello
delle campane di tutti i campanili della città.
La folla era già in delirio quando vennero issate ai quattro angoli della
cella campanaria due bandiere italiane e due di San Marco.
Nel
giorno dell'inaugurazione vennero emessi due francobolli per
celebrare la ricostruzione del campanile. La vignetta era
stata disegnata da Augusto Sezanne (Collezione
privata).
Ma
non era ancora finita: dalla nave ammiraglia Goito ormeggiata nel
Bacino di San Marco vennero sparati 21 colpi di cannone in segno di
saluto. In quel momento venne esposta sul campanile la bandiera
dell'incrociatore corazzato San Marco che sventolò a Derna nel giorno
dello sbarco delle truppe italiane in Cirenaica: era un dono della Regia
Marina alla città di Venezia.
Uno
dei volantini lanciati sopra Piazza San Marco da un aeroplano
nel giorno dell'inaugurazione del campanile: «In questo dì
di S. Marco 25 Aprile 1912 la Pro Venezia saluta il Campanile
risorto - e l'angelo tutelatore della Città - testimone delle
antiche sue glorie - vigile custode dei suoi destini sulla
terra e sul mare!» (Collezione
privata).
Mentre le autorità lasciavano il palco, da un'imbarcazione ormeggiata
all'altezza del Ponte della Paglia vennero sparati verso il Campanile dei
fuochi d'artificio diurni, che esplodendo segnavano l'aria di nuvolette di
fumo lasciando cadere volantini colorati.
Nel primo pomeriggio, nella sala del Maggior Consiglio, in Palazzo Ducale,
venne inaugurata dal Duca di Genova, alla presenza di tutte le autorità,
la Mostra del Campanile, ideata dallo storico dell'arte Corrado Ricci
(1858-1934) che illustrava la storia, le vicende e la ricostruzione della
torre campanaria.
A portare il saluto di Trieste austriaca al risorto campanile fu
l'aviatore Johann Widmer (1892-1971): doveva partire alla mattina, ma un
forte vento lo tenne bloccato sul campo d'aviazione. Poté librarsi in
volo solo alle 17.11 e raggiunti i duecento metri d'altezza attraversò il
golfo di Trieste verso Pirano da dove si diresse a Venezia atterrando al
Lido alle 18.19 davanti all'Hotel Excelsior acclamato dalla folla.
Una
cartolina spedita da Venezia il 25 aprile 1912, giorno
dell'inaugurazione del campanile, affrancata con uno degli
speciali francobolli celebrativi (Collezione
privata).
Due
medaglie celebrative coniate per la ricostruzione del campanile
di San Marco. A sinistra «VENEZIA AL SVONO DELL'ANTICA
SQVILLA ESVLTA», a destra «XXV APRILE MCMXII - IL VOTO E'
COMPIVTO - COME ERA - DOVE ERA» con al verso l'immagine della
Loggetta e l'epigrafe «NEL GIORNO DELLA ROVINA - IL COMUNE -
VOTA - LA RIEDIFICAZIONE - XIV LVGLIO MCMII» (Collezione
privata).
Alle
20 ci fu all'Hotel Britannia il banchetto ufficiale in onore di Tommaso
di Savoia con la partecipazione di molti commensali stranieri.
Come centro tavola, tra fiori e bandiere, era stato preparato un croccante
a forma di campanile; davanti a tutti i commensali era stato posta, come
ricordo della giornata, una particolare coppa di vetro di Murano da
utilizzare per il brindisi: era la riproduzione fedele di quel calice di
vetro con decorazioni a smalto degli inizi del Cinquecento che era stato
ritrovato a pezzi tra le macerie in un pozzo del campanile dopo il crollo
e che era stato ribattezzato subito «la coppa del campanile».
Alla sera la Piazza si riempì nuovamente: centomila persone vi erano
convenute per assistere alla «...illuminazione architettonica
elettrica dei palazzi...».
L'impianto venne realizzato dalla Ditta Ing. Biso-Rossi & C. e
prevedeva l'illuminazione dei palazzi marciani e del campanile
ricostruito.
Piazza
San Marco illuminata nella sera del 25 aprile 1912, dopo l'inaugurazione
del campanile (Collezione
privata).
Per
gli edifici si prestò una particolare attenzione a non danneggiare gli
elementi architettonici in marmo sui quali, ovviamente, non si potevano
praticare fori: i cavi elettrici furono ugualmente stesi con un ingegnoso
sistema di sagome in ferro che si agganciavano in punti particolari. Il
tutto restava completamente invisibile all'osservatore in Piazza.
Le centomila lampadine erano state ricoperte con un cappuccio giallo oro
per ottenere una luce più calda, come quella delle candele.
Per il campanile furono progettati due impianti differenti: uno che aveva
un carattere permanente, destinato a poter essere utilizzato anche in
seguito, l'altro provvisorio, per questa occasione.
Nella cella campanaria trovarono sistemazione 32 lampade a filamento
metallico della potenza di 500 watt ciascuna; 40 lampade da 300 watt poste
sulle balaustre illuminavano i quattro lati del dado mettendo in risalto
con un gioco di luci e di ombre i bassorilievi della Giustizia e del Leone
marciano. La cuspide era illuminata con luce radente da un'altra serie di
lampade da 300 watt collocate sul cornicione della base. Tutte le lampade
erano coperte da vetri trasparenti rossi che le rendevano invisibili, producendo
una luce colorata.
La potenza luminosa di tutto l'impianto del campanile era,
come si diceva allora, «...di 40.000 candele...».
Alle 8 di sera si accese un primo proiettore diretto sui mosaici dorati
della Basilica di San Marco che suscitò un primo grido di stupore e di
ammirazione tra la folla.
Era solo un assaggio.
Alle 21 tutta la Basilica si illuminò: la facciata, gli archi, i cavalli
sulla loggia, le cupole. I mosaici splendevano dorati.
Dopo un quarto d'ora esatto fu la volta del campanile: la luce ne
disegnava i contorni, la cella campanaria rifulgeva di una luce infuocata,
furono illuminati i bassorilievi e la cuspide mentre una luce bianchissima
rifletteva tutto l'oro dell'Angelo rinato sulla cima.
L'entusiasmo della folla aumentò e divenne un lunghissimo interminabile
applauso con esplosioni di giubilo ed ovazioni quando, alle 21.30,
all'improvviso e tutte assieme vennero accese le centomila lampadine sulle
facciate dei palazzi in Piazza.
Si concluse con questa apoteosi di luci «...la settimana di San
Marco...» che aveva avuto, nell'inaugurazione del campanile, il suo
culmine.
Dopo
meno di dieci anni dal suo crollo, il campanile era stato ricostruito: non
furono dieci anni di solo lavoro materiale, ma anche di studi, ricerche,
progettazione tecnica, verifiche, di interruzioni per sciopero dei
lavoratori e anche di non poche polemiche che portarono all'arresto
dell'attività per quasi un anno, tra il 1906 ed il 1907.
Nel giugno 1912 il cantiere venne smantellato.
E' giusto ricordare che durante tutti questi anni di lavoro, che videro
impiegati costantemente circa un'ottantina di operai in un ambiente
sicuramente difficile (si lavorava a parecchie decine di metri d'altezza,
fino ai cento metri) gli incidenti e gli infortuni furono pochi e di
modesta gravità.
Si trattava per lo più di contusioni e piccole ferite che si risolvevano
in un paio di settimane. Gli infortuni più gravi furono quattro: due
guarirono in 50 e 44 giorni, uno in 35, un altro in 29; tutti gli altri
(67) ebbero un decorso più breve.
Pare quasi che le parole
augurali pronunciate da San Pio X il 25 aprile 1903, quando era ancora
Patriarca di Venezia, fossero state ascoltate: «...nel principio, nel
progresso e nel compimento dell'opera stiano lontane le sventure, che non
di rado incolgono i poveri lavoratori».