Le
campane del campanile di San Marco, durante i tempi della Serenissima,
avevano un'importante funzione nel governo e nella vita della città.
L'uscita
degli operai dalla porta dell'Arsenale in un'incisione di Giacomo
Franco (1550-1620) (da
"Venise: histoire, art, industrie, la ville, la vie" di
Charles Yriarte, Parigi 1878).
Come
abbiamo scritto, non sappiamo con precisione quando vennero collocate le
prime campane sul campanile di San Marco.
E' probabile che all'inizio alcune campane si trovassero in Palazzo Ducale
per regolare le sedute e le assemblee dei primi organismi della
Repubblica.
L'8 luglio 1244 il Maggior Consiglio ordinava che la campana che
annunciava la riunione del Consiglio dovesse essere suonata alla sera, se
la convocazione avveniva la mattina dopo, oppure al mattino, se il
Consiglio si riuniva nel pomeriggio dello stesso giorno.
E' possibile comunque che le prime campane siano state innalzate sul
campanile quando, sotto il dogado di Vitale Michiel II (Doge dal 1156 al
1172), Nicolò Barattieri (morto probabilmente nel 1181) e Bartolammeo Malfatto completarono la cella
campanaria.
Un secolo dopo (1271) leggiamo nel capitolare della Scuola dei
Favri (confraternita, o corporazione, dei fabbri) di una «...campanam
sancti Marci que pulsatur in sero pro magistris arcium...».
A seguito del fulmine che si abbatté sul campanile martedì 11 agosto
1489, le campane caddero sul solaio della cella. Le testimonianze ci
riferiscono di sei o sette campane, quindi di un numero maggiore di quello
che poi, per secoli, sarà il numero delle campane appese nella cella.
Non dobbiamo pensare alle campane di allora come a quelle cui siamo
abituati oggi: le campane di quel tempo, dette anche gotiche, avevano una
forma diversa, allungata, con la parte inferiore di poco più larga di
quella superiore.
Un esempio di questa forma ci è dato dalla campana di Sant'Alipo che
trovamo appesa all'interno dell'omonimo campaniletto a sinistra della
facciata della basilica di San Marco: venne fusa nel 1384 da un certo
Antonio, figlio di mastro Vittore, e reca gli stemmi del Doge Antonio
Venier (Doge dal 1382 al 1400) e dei Procuratori di San Marco Pietro
Corner e Giovanni Gradenigo.
La
campana gotica di Sant'Alipo sulla chiesa di San Marco.
Nel 1513, quando venne completata la nuova cella campanaria sovrastata
dalla
loggia per opera di Pietro Bon, probabilmente su un progetto precedente di
Giorgio Spavento (circa 1440-1509), le campane erano quattro.
La più famosa era, e lo resta tuttora almeno nel nome, la Marangona:
deve il suo nome ai "marangoni", cioè i falegnami che
lavoravano all'Arsenale. L'arte dei "marangoni" era della
massima importanza a Venezia e non tanto per l'impiego del legno
nell'edilizia civile, ma soprattutto per la fabbricazione delle navi che
facevano parte della potente flotta della Serenissima.
Con il nome "marangoni" non si intendevano solo i
lavoratori del legno dell'Arsenale, ma in pratica tutti gli operai
impiegati all'Arsenale nelle diverse attività.
Questa campana scandiva la giornata dei lavoratori, dell'Arsenale prima di
tutto, ma anche delle altre maestranze occupate in città: in particolare
l'inizio ed il termine del turno di lavoro.
Assieme alla Trottiera, la Marangona dava anche l'avviso delle riunioni del Maggior Consiglio
con nove serie di cinquanta rintocchi e cinque serie di venticinque
rintocchi.
La Trottiera invece era legata all'attività politica ed istituzionale della
Repubblica ed aveva il compito di radunare i membri del Maggior Consiglio
che erano già stati avvertiti dal suono della Marangona.
L'ultima Trottiera della quale abbiamo notizia era stata fusa nel
1733 da Paolo de Poli, fabbro in calle dei Fabbri (calle tuttora esistente
con questo nome vicino a San Marco) sotto l'insegna della Madonna.
Quando suonava, i nobili si affrettavano al trotto per raggiungere la sala
consiliare: un trotto non solo metaforico, perché all'interno della
città ci si poteva spostare anche a cavallo. Da questo gran trottare per
arrivare a Palazzo prese il nome la campana Trottiera.
Quando cessava di suonare, le porte del Maggior Consiglio si chiudevano e
nessuno più vi era ammesso.
Un uso che, sotto altra forma, fu mantenuto all'Arsenale fino al 1866,
quando cioè Venezia venne annessa al Regno d'Italia: all'ingresso degli
operai dell'Arsenale suonava alla mattina per mezz'ora la Campanela
(deve il suo nome al suono brillante come di una campanella). Durante
il suono le maestranze potevano entrare, quando cessava i portoni si
chiudevano. I ritardatari erano ammessi solo dopo che si era concluso
l'appello dei presenti e comunque subivano una multa di denaro.
Una terza campana appesa alla cella del campanile era la Nona,
chiamata anche Mezzana: il suo nome derivava dall'ora che suonava,
corrispondente all'incirca a mezzogiorno (l'ora variava in relazione al
sorgere ed il tramontare del sole nelle varie stagioni dell'anno).
Il
Doge Alvise Contarini (Doge dal 1676 al 1684).
I suoi rintocchi avvertivano anche che era giunto il termine ultimo per
spedire lettere dalla Posta di Rialto.
Anche la quarta campana portava il nome dell'ora in cui faceva sentire i
suoi rintocchi: la Mezzaterza. Aveva però anche un altro nome: Pregadi. Questa
campana avvertiva delle riunioni del Senato, chiamato anticamente
Consiglio di Pregadi: in origine erano chiamati a farne parte i nobili che
si erano distinti per saggezza ed esperienza di governo. Essi venivano
"pregati" di occuparsi delle questioni più delicate che
riguardavano la vita della Repubblica che necessitavano di riflessioni e
giudizi ponderati.
A queste quattro campane se ne aggiunse una quinta nel 1569: era la più
piccola e probabilmente si trovava nel Palazzo Ducale o sulla chiesa di
San Marco.
Aveva
un compito particolare, quello di annunciare le esecuzioni capitali. Per
questo ebbe diversi nomi, tutti legati all'evento del quale dava notizia: Renghera, del
Maleficio, Preghiera.
Ed i nomi sono presto spiegati: Renghera, da "renga",
ovvero arringa, il discorso che veniva fatto a difesa dell'imputato prima
della sentenza; Maleficio, da "male" e "facere",
far male, comportarsi male, come aveva fatto il condannato per meritarsi
la pena capitale; Preghiera, pregare era l'ultima cosa che poteva fare il
condannato a morte. Ma anche la popolazione, all'udire quei mesti
rintocchi, era invitata ad elevare una preghiera per l'anima di quello che
stava andando a morire per mano del boia.
Secondo un racconto, che racchiude molti passi leggendari, questa campana
si trovava in Palazzo Ducale e serviva per convocare le riunioni del
Consiglio di Pregadi (cioè il Senato): «...la dita campana non era a
quel tempo nel campanil de san Marco ma era al palazzo dedicata ad alcuni
soni del segno dei Pregadi...».
Il 17 aprile 1355 suonò per annunciare la decapitazione di Marin Faliero
(Doge dal 1345 al 1355) che aveva cospirato contro la Repubblica. Dopo,
per ordine del Consiglio di Dieci, fu messa in disparte con la minaccia di
tagliare la testa a coloro che anche solo avessero pensato di farla
suonare di nuovo.
Il racconto continua narrando che da poco la campana era stata messa sul
campanile, seppure senza batacchio e senza la corda per suonarla e si
trovava appesa «...a modo d'un cappello...».
Più tardi, per circa mezzo secolo, si aggiunse una sesta campana.
Dopo una lunga guerra con l'Impero Ottomano, Venezia aveva perduto l'isola
di Candia (Creta).
Quando ormai si poteva immaginare la piega infausta che avrebbe preso la
guerra, vennero trasportati a Venezia molti tesori per sottrarli alla
devastazione dei Turchi. Tra questi vi era anche una campana che, dalla
torre civica di Candia, annunciava le riunioni del Consiglio cittadino.
Questa campana venne subito chiamata
il Campanòn di Candia.
Portata a Venezia, venne lasciata al piano terra del campanile, in attesa
di una migliore sistemazione.
Fu il Doge Alvise Contarini (Doge dal 1676 al 1684) ad ordinare che fosse
posta sulla cella campanaria: suonò per la prima volta a Venezia in
occasione della festa dell'Ascensione del 1678.
Qualche decennio più tardi, precisamente nel giorno di San Marco (25
aprile) del 1722, si staccò dal suo sostegno cadendo sul pavimento della
cella. Non subì danni e si sarebbe potuta riparare con poca spesa, ma
questo non venne fatto forse perché, a differenza delle altre campane,
questa non aveva un compito istituzionale da assolvere (convocazione del
Maggior Consiglio, apertura delle adunate del Senato, eccetera). Così
restò dimenticata in un angolo della cella campanaria fino alla caduta
della Repubblica.
Di queste campane (esclusa la Trottiera del 1733) non conosciamo
gli autori e neppure quando vennero fuse. Ci sono restate solo le
iscrizioni della Nona e della Mezzaterza.
Un
fregio dell'antica "Marangona" rilevato prima della sua
fusione.
Oltre
alle occasioni istituzionali, tanti erano i momenti in cui le campane di
San Marco suonavano, magari facendo "campanò": era
questo un modo di suonare differente del suonare tutte assieme "a
distesa". Nel "campanò" le cinque campane
suonano assieme nella modalità di campana-martello.
Si faceva "campanò" all'elezione di un Doge (per tre
giorni di seguito), all'incoronazione di un Papa, quando veniva consegnato
il gonfalone Venezia al Capitano Generale da Mar, quando si avvistavano le
navi veneziane di ritorno da Oriente.
Poi c'erano altre modalità diverse per suonare le campane alla morte del
Doge, del Papa, dei Procuratori di San Marco, del Cancelliere Grande, per
la morte degli ambasciatori stranieri residenti in città, per il
Patriarca, eccetera.
I campanari ricevevano un compenso per le loro prestazioni, ed anche
questo era regolato da differenti norme secondo le occasioni.
Caduta la Repubblica di Venezia, sotto la seconda dominazione francese nel 1808
era a capo della Fabbriceria che aveva giurisdizione sul campanile il
conte Giovanni Andrighetti (1752-1816). In quello stesso anno era
Patriarca a Venezia monsignore Nicola Saverio Gamboni (1746-1808), inviato
da Napoleone senza il consenso pontificio.
Tralasciamo quello che fece il Gamboni nelle istituzioni ecclesiastiche
veneziane, cosa che in questa sede non ci interessa. Ci interessa
piuttosto il fatto che questo Patriarca trasferì la sede patriarcale
dalla Cattedrale di San Pietro di Castello alla chiesa di San Marco.
Ritenne che le campane appese al campanile non fossero all'altezza di una
chiesa (San Marco) che era diventata Cattedrale della città e ne volle di
nuove, di smisurate dimensioni.
Dobbiamo comunque aggiungere che le campane esistenti erano piuttosto
malridotte: la Marangona non suonava più da tre anni perché
esisteva il pericolo concreto che si rompesse a pezzi.
Così il Gamboni ordinò al fonditore Domenico Canciani Dalla Venezia due
nuove campane, delle quali una doveva essere doppia dell'altra.
Il Canciani aveva a disposizione il bronzo della Marangona (6300
libbre venete), del Campanòn di Candia (1640 libbre venete) e
della piccola Renghera (764 libbre venete). Poiché il bronzo non
era sufficiente, il Patriarca Gamboni fece consegnare al fonditore oltre
seimila campane di bronzo provenienti da altre chiese e monasteri
veneziani distrutti, chiusi o soppressi dagli editti napoleonici.
Con questo materiale il Canciani fuse, nelle fonderie dell'Arsenale, le
due nuove campane, una del peso di poco inferiore alle 10000 libbre,
l'altra di 5430 libbre.
Le iscrizioni sulle campane ricordavano che furono fuse quando regnava nel
mondo Napoleone il Massimo, in Italia il Viceré Eugenio, a Venezia era
Prefetto Marco Serbelloni e Patriarca Nicola Saverio Gamboni.
Per questo furono chiamate Gamboniane, ma il Patriarca Gamboni non
potè mai sentirle suonare, essendo morto improvvisamente a Milano, dove
era in visita.
Fecero udire infatti la loro voce per la prima volta il Sabato Santo del
1809, destando non poche perplessità. Infatti erano assolutamente
sproporzionate rispetto alle altre campane e suonando assieme non
risultava il suono che ci si aspettava. Tanto era potente e poderoso
quello delle due Gamboniane che, raccontano, si potevano udire fino
quasi a Treviso!
Preparativi
per la fusione delle campane di San Marco (Foto di G. Bigaglia. Dal Quaderno n. 3 della collana
"Appunti dell'Archivio". Cortesia del Museo
Ditta F.lli Barigozzi).
Appese poi ai mozzi esistenti, per il loro peso si temeva che potessero
precipitare. Furono quindi tolte e lasciate sul pavimento della cella.
Ma la situazione peggiorava: le campane residue erano sempre più
malridotte. La Trottiera si ruppe e più tardi anche un'altra, cosicché
era restata una sola campana a funzionare in cima al campanile, vecchia di
quasi quattro secoli.
Nel 1819 si prese la decisione di incaricare Domenico Canciani Dalla
Venezia, il fonditore delle due Gamboni, di procedere alla
rifusione di tutto quello che era restato per almeno cinque nuove campane
ben calibrate e proporzionate musicalmente tra loro.
Vennero dunque fuse la Trottiera, la Nona e la Mezzaterza (detta anche
Pregadi) oltre naturalmente alle due enormi Gamboniane.
La fusione venne fatta nel marzo 1820 e, in omaggio al nuovo dominatore,
mostravano in rilievo l'aquila bicipite austriaca mentre le iscrizioni da
farsi erano state dettate dall'Imperiale Regio Governo.
Risuonarono per la prima volta dall'alto del campanile il Sabato Santo del
1820 (il 1° aprile) e le cronache sono concordi nell'affermare che tutti
furono affascinati dal loro suono armonioso, limpido e rotondo.
All'epoca del Governo provvisorio di Daniele Manin (22 marzo 1848-22
agosto 1849) un'ordinanza fece scalpellare le aquile bicipiti asburgiche e
si dice che con questa operazione ne risentì il suono.
Naturalmente erano cambiate le occasioni ed i modi con cui dovevano
suonare: non suonavano più per segnare i turni di lavoro dei
"marangoni", o per invitare a raccolta i senatori o i nobili del
Maggior Consiglio, non suonano più per annunciare l'arrivo di galee o la
partenza della posta da Rialto.
Tuttavia accolsero festose la venuta del Re Vittorio Emanuele II nel 1866,
quando Venezia era stata appena annessa al Regno d'Italia.
Di tutte le campane che albergavano sul campanile di San Marco, le Gamboniane,
come abbiamo visto, sono state quelle che hanno avuto la vita
più breve.
Ma anche quest'ultime non durarono a lungo: riusciranno a superare di
qualche mese gli 82 anni.
Infatti vennero coinvolte nel crollo del campanile avvenuto il 14 luglio
1902 quando, quattro su cinque, si ruppero.
A restare pressoché illesa fu la campana maggiore che, dando origine ad
un equivoco che perdura fino ad oggi, fu chiamata Marangona. Naturalmente non si trattava dell'antica Marangona, che non
esisteva più dal 1809, ma della maggiore delle più recenti campane fuse
sotto la seconda dominazione austriaca.
La
campana maggiore (chiamata impropriamente "Marangona")
tra le macerie del campanile recuperata pressoché intatta (Foto
di Aldo Jesurum, firmata, montata su cartoncino. Collezione privata).
Pochi giorni dopo venne trasportata nel cortile del Palazzo Ducale e poi
custodita sotto la Scala dei Giganti; i pezzi delle altre furono riposti
in un magazzino dello stesso palazzo.
Venne costituita una commissione che si doveva occupare della rifusione
delle quattro campane. Ne facevano parte il cavaliere Delfino Thermignon
(1861-1944), Direttore della Cappella Musicale Marciana, il cavaliere
Oreste Ravanello (1871-1938), Direttore della cappella Musicale della
Basilica di Sant'Antonio a Padova, il professore Oreste Gallignani
(1851-1923), Direttore del Conservatorio di Musica di Milano ed il
cavaliere Ermanno Secondo Barigozzi (1843-1909), proprietario dell'omonima
Ditta Fratelli Barigozzi di Milano.
Il 14 luglio 1908, ricorrendo il sesto anniversario della caduta del
campanile, Papa Pio X (Papa dal 1903 al 1914), che già era stato
Patriarca di Venezia per sette anni prima dell'elezione al soglio di
Pietro, scrisse al Sindaco di Venezia Filippo Grimani (Sindaco dal 1895 al
1919) di voler provvedere alla ricostruzione delle quattro campane e
dell'angelo dorato (anch'esso precipitato al suolo con il crollo): le
campane gli ricordavano il periodo in cui era stato Patriarca e l'angelo,
visibile da lontano, le sue passeggiate.
Alla fusione delle quattro campane venne incaricata la Ditta Fratelli
Barigozzi.
Ma prima i pezzi delle quattro campane furono ricomposti per permettere di
riprenderne il calco in gesso e riprodurle nelle stesse dimensioni e con
in fregi delle precedenti. La commissione musicale studiò la tonalità della campana
superstite (che dava la nota la naturale) per stabilire la tonalità delle nuove
(mi, re, do diesis e si) in modo di ottenere un
armonico equilibrio dei suoni. Dopo aver esaminato la qualità del bronzo, venne
deciso di usare quello stesso bronzo per i nuovi getti.
Si trattava di decidere dove farli.
Il luogo prescelto fu l'isola di Sant'Elena, di proprietà comunale, dove,
dopo le spogliazioni seguite ai decreti anticlericale napoleonici e
l'abbandono dei monaci che vi risiedevano, era sorta una fabbrica di
forniture ferroviarie poi fallita ed abbandonata anch'essa.
Una
vecchia foto di Sant'Elena con i resti industriali, prima del
riordino e dell'urbanizzazione dell'isola.
Furono pertanto scelti i locali che già ospitavano il vecchio forno di quella fabbrica
che venne quasi completamente rifatto secondo un progetto del Barigozzi
che lo rese idoneo alla fusione delle otto tonnellate di bronzo necessarie
per le nuove campane,
il che
avvenne a cominciare dal 24 aprile 1909, vigilia di San Marco.
Ci vollero nove ore affinché il fuoco riuscisse a liquefare e a portare a
giusta temperatura di 1400 gradi l'enorme massa di bronzo e dopo bastarono
appena sette minuti per riempire i quattro stampi. Le nuove campane, e la vecchia Marangona,
furono portate all'interno del cantiere di lavoro dove stava sorgendo il nuovo campanile.
Il 7 giugno 1909 si tenne il collaudo del suono: fu una vera e propria
cerimonia alla quale presenziarono il Sindaco Filippo Grimani (1850-1921),
alcuni assessori e consiglieri comunali, i membri della Commissione di
collaudo, il cavaliere Thermignon, il cavaliere Ravanello, il professore
Gallignani, il cavaliere Barigozzi, il cavaliere Munaretti, il cavaliere
Preole, Direttore della Banda Municipale, ingegneri addetti alla
ricostruzione del campanile e qualche altra persona.
Ma oltre le transenne che delimitavano il cantiere di lavoro c'era un
pubblico numeroso accorso per ascoltare i primi rintocchi di prova del
nuovo concerto mentre, dalla loggia esterna sulla facciata della Basilica,
assisteva il Patriarca di Venezia Cardinale Aristide Cavallari (1849-1914)
che più tardi scese per vedere, nel cantiere, le campane da vicino.
Le
campane sono
issate sul campanile (Foto
da collezione privata).
La Commissione cominciò dalla nota la naturale della campana
maggiore e quindi esaminò con scrupolosa attenzione ogni singola campana.
Alla fine fu effettuata la prova d'accordo: il concerto risultò squillante,
robusto, perfettamente intonato; i rapporti di intonazione risultarono
esatti, l'acustica omogenea e tutte corrispondevano all'accordo in la.
Le campane recavano le iscrizioni di quelle vecchie.
Due nuove iscrizioni erano state dettate da Monsignor Francesco Pantaleo;
su una di quelle donate da Papa Pio X c'era l'effigie del Pontefice e la
riproduzione della sua firma, con l'iscrizione:
PERVETVSTA -
TURRI -DIRVTA
AERE - MAXIMO - MIRE - INTEGRO
IV - RELIQVA - E - PRIORUM - FRAGMENTIS
PIO - X - PONT . MAX .
IAM - VENETIARVM - PATRIARCHA
IMPENSAM - LARGIENTE
AD - CONCENTVM - REFVSA
VIII - KAL - MAIAS - AN - M-CM-IX
VICTORIO - EMMANVELE - III - ITALIAE - REGE
ARISTIDE - CAVALLARI - CARDINALI - PATRIARCHA
PHILIPPO - GRIMANI - VIRO - PATRICIO - MVNICIPII - PRAESIDE
Sulla vecchia campana del 1820 era
stata aggiunta una nuova iscrizione che ricordava il crollo del 1902 e la
sua ricollocazione accanto a quelle rifuse:
AES
MAXIMVM - PERVETVSTAE TVRRIS
EX - IMMANI - RVINA
PRID - ID - IVL - AN - MCMII
MIRE INTEGRUM
CVUM - IV - RELIQVIS
VIII - KAL - MAIAS - AN - MCXIX
AD - CONCENTUM - REFVSIS
COLLOCATVM
Se la vecchia campana del 1820 era
già stata consacrata all'epoca dal Patriarca di Gerusalemme Francesco
Maria Fenzi (Patriarca dal 1816 al 1829), non erano state ancora benedette
le quattro nuove campane. Furono dunque appese a dei treppiedi sul lato Est del campanile in costruzione (dove prima c'era la Loggetta del
Sansovino) e benedette dal Patriarca di Venezia Aristide Cavallari
(Patriarca dal 1904 al 1914).
La
cerimonia della benedizione delle campane in un dipinto di
Giuseppe Cherubini (1867-1960)
(Olio
su tela, Galleria Internazionale d'Arte Moderna di Ca'
Pesaro, Venezia)
Fu scelta la data del 15 giugno 1910 che coincideva con
l'anniversario della nomina a Patriarca di Venezia di Giuseppe Sarto
(eletto poi Papa nel 1903 con il nome di Pio X), come segno di gratitudine
e riconoscenza per il dono che aveva voluto fare alla città. Il Sindaco
Grimani, dopo la cerimonia, inviò al Pontefice un telegramma di
ringraziamento che iniziava con le parole «Compiuta in un giorno caro al
cuore di V.S. e al nostro cuore la solenne benedizione delle campane...».
Con un elevatore delle Officine Meccaniche Stigler di Milano, il 22 giugno
le campane salirono sul campanile dal lato Nord (quello
rivolto alla Torre dell'Orologio) sebbene non fosse ancora compiuta la
cella campanaria. La maggiore toccò il piano della cella campanaria alle
ore 17.
Dovranno attendere il 25 aprile 1912, giorno dell'inaugurazione del rinato
campanile, per far udire la loro voce festosa.
La
campana maggiore ("Marangona") del campanile di San Marco.
Per
ricordare le antiche campane, queste dovrebbero essere chiamate (per
ordine di grandezza) Marangona, Nona (o Mezzana), Mezzaterza (o
Pregadi),
Trottiera e Renghera (o del Maleficio, o Preghiera).
Ricordiamoci comunque che nessuna di esse, neppure la Marangona, deve
essere confusa con le antiche campane di San Marco irrimediabilmente
perdute.