A Rialto.
Abbiamo già avuto modo di dire in questa
pagina che con il termine "ruga" si deve intendere proprio una
specie di ruga, non della pelle, ma del terreno: una striscia di suolo più
compatta dove si poteva camminare senza correre il rischio di sprofondare.
E' un sinonimo di calle, ma non per questo condividiamo l'opinione di Giuseppe
Tassini (1827-1899) che vorrebbe far derivare il termine dal francese rue,
strada fiancheggiata da case e botteghe.
L'aggiunta dell'aggettivo "vecchia" sta ad indicare che si tratta di
una via di antica origine che, tra l'altro, una volta era anche chiamata ruga
degli Orèsi (orefici).
Questa via prende comunque il nome dalla chiesa di S. Giovanni Elemosinario che
vi si affaccia pur essendo privo di una facciata!
L'ingresso alla chiesa infatti è sepolto da abitazioni civili che la mimetizzano.
La
ruga Vecchia San Giovanni: l'ingresso alla chiesa si trova a sinistra subito dopo
le tende verdi.
Siamo nel cuore originario della Civitas Rivo Alti: la data di fondazione
della chiesa è sepolta nella memoria dei tempi e non sappiamo neppure a chi
fosse dedicata inizialmente!
Infatti il Patriarca di Alessandria Giovanni, detto l'Elemosiniere, visse nel VI
secolo (approssimativamente 556-619) ma il suo culto cominciò a diffondersi in
oriente nel XII secolo e a Venezia giunse in quello successivo quando appena
trascorso il dogado di Jacopo Tiepolo (1229-1249) , ma con il
Tiepolo ancora vivente, le sue spoglie furono portate in città.
Ma la chiesa esisteva già da prima, anche se non sappiamo intitolata a chi, e solo in
occasione dell'arrivo delle reliquie del Santo patriarca di Alessandria ci fu il
cambio dell'intitolazione.
L'ingresso
alla chiesa, nascosto tra le abitazioni.
Si può pensare che la chiesa sia stata eretta tra il IX ed il X secolo, grazie
ad una generosa donazione della ricca famiglia Trevisan.
I successori del Tassini citano un documento del luglio 1051, del quale non
vengono forniti gli estremi, dove sarebbe nominata una «tumba sancti
Johannis Confessoris».
Flaminio Corner (1693-1778) nel suo "Notizie Storiche delle Chiese, e
Monasteri di Venezia, e di Torcello ecc...", Padova 1758, ci racconta che
nel 1071 sotto il dogado di Domenico Selvo (morto nel 1087) il campanile della
chiesa «...o per vecchiezza, o per disgrazia improvvisamente rovinò a terra».
Il primo parroco di cui abbiamo notizia fu Pietro Gradenigo che emanò nel 1142
il decreto per la processione delle Marie. Un altro parroco, Angelo Barocci (o
Barozzi), fu nominato nel 1207 alla sede patriarcale di Grado per succedere a
Benedetto Folin che era morto.
Secondo i successori del Tassini, nel 1167 un incendio devastò la chiesa che
venne ricostruita nei primi anni del XIII secolo.
Non ne parla Flaminio Corner (1693-1778), ma possiamo immaginare che in quegli
anni sia stato ricostruito anche il campanile, che però sarebbe nuovamente
crollato nel 1361.
Nel suo "Venetia Citta Nobilissima et singolare" del 1581, Francesco
Sansovino (1521-1586) scrive che «...il suo campanile fu cominciato l'anno
1398. & finito co lo horiuolo l'anno 1410...» per l'interessamento del
doge
Michele Steno (1331-1413).
San
Giovanni, vescovo di Alessandria, attorniato da due poveri cui dà
l'elemosina (sopra l'arco d'ingresso alla chiesa).
La
cappella con il corpo di San Giovanni Elemosinario nella chiesa
di San Giovanni (Battista) in Bragora.
Facciamo un passo indietro, al tempo in cui era doge (dal 1229 al 1249) Jacopo
Tiepolo.
Proprio in questo periodo dobbiamo pensare che sia avvenuta la nuova
intitolazione della chiesa, ma il corpo del Santo caritatevole, patriarca di
Alessandria, non arrivò mai in questa chiesa!
Nel 1217 il Tiepolo era a Costantinopoli in qualità di Podestà ed era stato
colpito da quello che si raccontava sui prodigi che avvenivano con
l'intercessione di San Giovanni Elemosinario.
Divenuto doge, incaricò Lorenzo Bragadin, Capitano delle Galere
venete, di studiare la possibilità di ottenere il corpo del
Santo per arricchire di questa preziosa reliquia la chiesa che
era stata rifabbricata a Rialto.
Jacopo Tiepolo era ancora vivo, seppure per motivi di salute
avesse rinunciato alla carica di doge (o sia stato costretto a
rinunciarvi a causa del suo nepotismo!), quando il Bragadin fu di
ritorno da Alessandria d'Egitto con il corpo del Santo.
La galera era diretta alla piazza per far giungere la reliquia
nella chiesa di Rialto ma, quando fu di fronte alla riva
all'altezza della chiesa di San Giovanni in Bragora, dedicata a
San Giovanni Battista, non ci fu verso che la nave continuasse la
navigazione.
Per quanti sforzi si facessero, la nave si rifiutava di avanzare,
come una mano invisibile la fermasse là.
Alla presenza del vescovo, si sbarcò il corpo per farlo
proseguire verso la chiesa rialtina, ma un improvviso turbine di
vento e pioggia costrinsero il corteo a cercare riparo in quella
di San Giovanni in Bragora.
La
chiesa di San Giovanni in Bragora, dedicata a San Giovanni
Battista, dove ha trovato riposo il corpo di San Giovanni
Elemosinario.
Si levarono preghiere, canti
e benedizioni, ma non ci fu verso di far uscire il corpo e tutti si
convinsero che quello era il luogo che il Santo aveva scelto per il
proprio ultimo riposo: solo i piedi, che erano staccati dal corpo
incorrotto, furono deposti nel tesoro della basilica di San Marco.
Così il corpo del patriarca di Alessandria fu riposto nell'altare
maggiore della chiesa, ma... il mattino dopo non era più lì!
Fu trovato in una cappella più discosta e sull'altar maggiore fu
rinvenuto un biglietto con la scritta «CEDO IL LUOGO AL
PRECURSORE DI CRISTO», con riferimento alle (presunte)
reliquie di S. Giovanni Battista conservate in quella chiesa a lui
dedicata.
Il
campanile di San Giovanni Elemosinario come è stato visto e
rappresentato da Jacopo de' Barbari nel 1500.
Non elenchiamo altri prodigi che sarebbero qui avvenuti che
confermerebbero l'umiltà di questo Santo: il suo corpo «...chiuso
venne in una decente cassa di legno dorato» e tuttora è
conservato «...in una più ornata e decente da Giacomo
Albertini...» dove fu collocato nel 1326 nella cappella a lui
dedicata (la seconda di destra): sulla parete è visibile
l'originaria cassa del 1249.
Si verificò così una curiosa situazione: il corpo del Santo ed il
suo culto in una chiesa, la titolazione in un'altra chiesa!
Ma non è l'unica anomalia: infatti la chiesa di San Giovanni
Elemosinario non era soggetta al controllo ecclesiastico della
Diocesi, ma dipendeva direttamente dal doge che aveva quindi il
potere di nominare i sacerdoti, prerogativa questa che era del
tutto analoga a quella che aveva sulla basilica di San Marco.
In pratica il patriarca non poteva entrarvi neppure per compiervi
una visita pastorale!
Poiché non ci sono rimasti documenti che attestino questo
particolare privilegio del doge, probabilmente la Repubblica di
Venezia se lo prese senza dover chiedere il permesso!
L'ingresso
al campanile di San Giovanni Elemosinario sulla ruga
Vecchia San Giovanni.
E quando venne ricostruito il campanile tra il 1398 ed il 1410, il
doge Michele Steno non mancò di sottolineare il filo che legava
questa chiesa a quella marciana: sul lato del campanile che guarda
verso San Marco fece collocare tre rilievi in pietra bianca che a
bassorilievo mostrano l'aquila (di San Giovanni), il leone (di San
Marco) e lo stemma dello stesso doge sormontato dal corno ducale.
Il messaggio è preciso: «Io, Michele Steno doge, ho il potere
su questa chiesa di San Giovanni e su quella di San Marco».
La
ruga Vecchia San Giovanni con visibile il campanile di San
Giovanni Elemosinario.
Sul
lato rivolto a San Marco del campanile di San Giovanni
Elemosinario, tre rilievi dal significato
simbolico-politico (l'aquila, il leone e lo stemma del
doge).
Il potere laico su questa chiesa fece sì che questa chiesa, in
posizione così strategica nella città, nella zona dei traffici e
dei commerci internazionali, assumesse tanta importanza da ospitare
la prima scuola pubblica di Venezia dove si insegnava
logica,filosofia e matematica in preparazione della continuazione
degli studi universitari a Padova.
Era stata voluta e fondata nel 1408 per volontà testamentaria del
mercante veneziano Tomà (Tomaso) Talenti (sec. XIV-XV); furono
illustri gli insegnanti di questo Gymnasium Rivoaltinum,
basti ricordare Paolo della Pergola (fine XIV sec.-1455) e il
francescano matematico Luca Pacioli (1446/8-1517), cui si deve tra
l'altro l'invenzione e diffusione della "partita doppia" e
del primo trattato di algebra mai stampato ("Summa de
Arithmetica geometria. Proportioni: et proportionalita:...").
In quegli anni (1431) era stato eletto papa il veneziano Gabriele
Condulmer (1383-1447) con il nome di Eugenio IV che con una bolla
tentò di annettere la chiesa di S. Giovanni Elemosinario alla
diocesi veneziana di Castello attirato soprattutto dalle ricche
rendite che produceva la chiesa, così bene inserita nel tessuto
mercantile della città.
In quegli anni però Venezia era distratta da altri impegni: le
guerre con Francesco Sforza e contro i turchi, cui si aggiunsero le
discese di Carlo VIII di Valois (1470-1498).
Infine il 10 gennaio 1513 more veneto (corrispondente
all'anno 1514) ci fu lo spaventoso incendio che distrusse Rialto, il
cuore commerciale della Repubblica: in un negozio di tele una
favilla appiccò fuoco alle tele alle due di notte, un vento furioso
ostacolava lo spegnimento e non ci fu modo di usare l'acqua dei
pozzi e dei canali perché il gran freddo l'aveva ghiacciata!
Gli
stemmi Gritti (a sinistra e a destra) sormontati
dall'ombrella.
Marin Sanudo (1486-1636)
così commentò: «E' una grandissima compassione a veder, né
mai credo per foco sia stà visto tanta orribilità et però fo si
grande incendio, restò in pie il campaniel di San Zane».
Il Campanile dunque si salvò, ed è quello che possiamo vedere
ancora oggi, mentre la chiesa dovette essere riedificata.
A causa del furioso incendio che evidentemente aveva fatto tabula
rasa di tutti gli edifici, non erano più rimasti i riferimenti
di confine della parrocchia, cosicché si aprì una controversia
con la vicina parrocchia di San Mattio (San Matteo), controversia
che si concluse solo «...dopo trentaotto anni d'ostinato
litigio».
I lavori di ricostruzione della chiesa, era parroco dal 1527 al
1539 Nicolò Martini, furono affidati ad Antonio
Abbondi, detto lo Scarpagnino (sec. XV-1549) e durarono vent'anni:
il risultato è quello che vediamo oggi entrando in chiesa.
Sul pavimento
sono ricordati l'incendio e la ricostruzione della
chiesa:
«INCENDIO
COLLAPSVNT IN
PRISTINVM STATVM
INSTAVRANDVM
CVRAVIT
MDXIII»
La chiesa venne consacrata dal vescovo dalmata Daniel Vocazio il 28
settembre 1572.
Se Michele Steno aveva marchiato l'autorità dogale sul campanile
della chiesa, adesso è il doge Andrea Gritti (1455-1538) a
ribadirla con riferimenti sottili ma inequivocabili, come il tondo
che ci mostra San Gregorio Magno (circa 540-604) dottore della
Chiesa, ma anche Papa, attorniato da due stemmi della famiglia
Gritti sormontati dall'ombrella, segno di sovranità concessa dal
Papa al Doge per l'aiuto che Venezia diede al papato contro il
Barbarossa.
Ma i simboli non potevano bastare e così il doge Francesco Donà
(1468-1553), con l'ausilio del monsignore Giovanni della Casa
(1503-1556) nunzio apostolico a Venezia, ottenne da Papa Paolo III
(1468-1549) di essere «...solus dominus et patronus...»
della chiesa.
Per sottolineare questo, non è un caso che la pala dell'altare
maggiore, commissionata a Tiziano, rappresenti il Santo con le
sembianze del doge Francesco Donà.
Ma non è ancora tutto: il Santo regge la croce astata e porta il
rocchetto, ma non ha mitra, pastorale e piviale.
Il rocchetto e la croce sono le insegne del potere e non potevano
essere esibiti in presenza di un'autorità superiore; di fronte a
questa superiore autorità si sarebbe dovuto usare il pastorale e
nascondere il rocchetto.
Quindi Tiziano ha ritratto il doge Francesco Donà come massima
autorità con i relativi simboli (la croce astata ed il rocchetto)
ad indicare che era lui, il doge, ad avere la giurisdizione su
quella chiesa.
Lo
stemma dei Corrieri Veneti sul sigillo che chiude la loro
tomba datata 1585: da notare il corno di posta sovrastato
dal leone di San Marco.
A conferma di questo il
nipote di Tiziano, Marco Vecellio (1545-1611), dipinge le portelle
dell'organo: è doge un altro Donà, Leonardo (1536-1612) che è
ritratto vestito da doge davanti al parroco di San Giovanni
Elemosinario: nella portella di destra è raffigurato il Santo
nell'atto di dispensare l'elemosina.
Ancora una volta la faccia del Santo è quella del Doge!
E per ricordare la propria giurisdizione, il Doge in carica si
recava in visita solenne a questa chiesa il venerdì santo.
Abbiamo già più volte sottolineato il fatto di come essa fosse immersa nel tessuto mercantile di Rialto.
A riprova di questo troviamo alcune importanti realtà economiche
che l'avevano eletta come proprio luogo di protezione anche
spirituale, tenendovi al suo interno i propri altari di devozione.
L'iscrizione
sopra la tomba dell'Arte dei Biavaroli a San Giovanni
Elemosinario.
Il primo altare sulla destra raccoglieva fino al 1786 i confratelli
dell'arte dei cimadori (o cimolini) e dei sopressadori
dei panilani, artigiani legati alle lavorazioni della lana.
In quell'anno il Senato sciolse questa Scuola, assieme a quelle che
riunivano i laneri ed i tesseri, che in precedenza si
riunivano nella vicina chiesa di San Giacomo di Rialto.
L'altare venne così assegnato nel 1792 all'arte dei biavaroli,
in origine venditori di biade, cereali e legumi; anche loro in
precedenza si ritrovavano nella chiesa di San Giacomo di Rialto, ma
qui ottennero l'altare per loro con l'arca funebre.
Tra le regole che erano tenuti ad osservare vi era quella che chi vendeva
frumento non poteva vendere orzo ed inoltre non si potevano mettere
sulla parte superiore dei sacchi le granaglie di qualità migliore
lasciando nascoste sotto quelle più scadenti.
Seguiva l'altare dei corrieri veneti, la potente ed importante
corporazione che garantiva i collegamenti postali con i domini
della Serenissima e con le grandi capitali d'Europa: era dedicato a
Santa Caterina. Sulla tomba, oltre al loro stemma con
l'anno 1585, sono incise le parole:
«VENETIARVM
CVRSORES».
L'iscrizione
sul coperchio dell'arca per i defunti iscritti all'arte
dei "gallineri": da notare la data espressa
secondo "more veneto" (il nuovo anno iniziava il
1° marzo).
La loro pala d'altare con
Santa Caterina, San Sebastiano e San Rocco era stata dipinta dal
Pordenone (Giovanni Antonio de' Sacchis) tra il 1512 ed il 1513 ed
è sovrastata da una lunetta con Santa Caterina medicata dagli
angeli di Domenico Tintoretto (1560-1635) figlio primogenito di
Jacopo.
L'altare
di devozione attorno al quale si radunavano i Corrieri
Veneti.
Nella cappella di sinistra era ospitata la Scuola dei telaroli
(artigiani e mercanti di tele): fondata nel 1504, nel 1507 ottenne
l'assegnazione di un altare che verrà poi rinnovato nel 1590 e nel
1603 riceveranno il permesso dal doge Marcantonio Memmo (1536-1615)
di costruire un'arca funebre per i propri defunti; in compenso ogni
anno portavano in dono al doge due pernici!
A loro era vietato produrre o vendere corde o spaghi, che erano
prerogative di un'altra arte, quella dei cordaroli.
L'iscrizione
sulla tomba degli iscritti alla "Scolla di Mercanti
Telaroli".
Infine il primo altare di sinistra era quello della Scuola dei gallineri
e butiranti, cioè dei venditori di pollami e selvaggina, ma
anche di uova e burro.
Nel 1598 (sull'iscrizione si legge 10 febbraio 1597, ma more
veneto, che equivale secondo il nostro calendario corrente al
1598) viene concesso l'altare con l'arca funebre per i confratelli
defunti dal doge Marino Grimani (1532-1605), effigiato assieme alla
dogaressa Morosina Morosini nel quadro di Domenico Tintoretto
collocato a fianco.
Questi erano gli altari ad uso di alcune arti e scuole, ma altre
erano qui presenti, seppure senza un proprio altare di devozione;
tra le tante ricordiamo gli stadiereri (legati alla
fabbricazione e vendita delle bilance e relativi pesi), i casteleti
(gli impiegati che sovrintendevano al gioco del lotto) e tra le
scuole di devozione religiosa quelle della Compagnia della Buona
Morte, dei devoti di Sant'Elena, dei sacerdoti della Beata Vergine,
eccetera.
E' interessante notare come
siano sempre stati dei dogi a concedere un altare a questa o a
quella Scuola: un modo per ribadire ancora una volta che questa
chiesa era nella propria piena giurisdizione ed erano loro, cioè
la Repubblica e non il Patriarca, a poter disporre di essa e dei suoi
altari.
L'altorilievo
in ruga Vecchia San Giovanni contrassegna le case che erano
di proprietà dei frati di San Giorgio.
Se quello del 1514 fu il più
grave incendio che coinvolse Rialto, e forse il più grave che
colpì la città, le cronache registrano altri incendi che
colpirono gli edifici attorno a questa ruga.
Già nove anni prima, nella notte del 1° ottobre 1505, ci fu un
incendio che mandò a fuoco alcune botteghe di cimadori (i "cimadori"
erano quegli artigiani che trasceglievano la lana per prepararla
per la filatura).
L'incendio si era sviluppato «...a hore zercha [circa -
N.d.R.] tre...» proprio nella ruga Vecchia San Giovanni,
all'altezza del sotopòrtego dei Do Mori dove i frati di San
Giorgio possedevano delle case: infatti nella ruga, all'altezza di
quel sotopòrtego, è ancora oggi visibile un altorilievo
con San Giorgio che uccide il drago (la principessa invece è in
bassorilievo) entro una cornice dentellata.
Il 28 aprile 1773 ci fu un altro incendio, questa volta
sviluppatosi nella bottega di uno speziale, dove i proprietari
della bottega questa volta erano i frati di San Nicolò del Lido.
Ed a proposito di speziali non sappiamo se apparteneva a questa
spezieria il masegno che ancora oggi si può scorgere sulla
pavimentazione della ruga Vecchia.
E' un masegno che reca un'impronta circolare: indicava il posto
dove veniva collocato il mortaio per la preparazione della teriaca
veneziana, un farmaco prodigioso che si vantava potesse servire
come rimedio contro ogni male.
Parte degli ingredienti era segreta, ma la sua preparazione doveva
essere pubblica. A tal fine il pesante mortaio era collocato in
strada, davanti o nei pressi della spezieria, dove veniva
effettuata la lavorazione sotto gli occhi degli interessati: il
segno sulla pavimentazione indicava il punto preciso dove doveva
essere collocato.
L'impronta
su un "masegno" in ruga Vecchia San Giovanni
indica ancora oggi il punto dove era collocato il
mortaio durante la lavorazione della teriaca.
L'immagine
di San Giovanni Elemosinario sul campanile.
Ancora oggi nella ruga Vecchia San Giovanni è presente una
farmacia, che ricorda le antiche spezierie, che innalza l'insegna
del Castoro già presente nel 1511.
Non tutte le spezierie erano autorizzate a produrre la teriaca.
Dal 1808 la chiesa è diventata succursale della vicina chiesa di
San Silvestro.
Sul campanile di San Giovanni Elemosinario, oltre ai rilievi in
pietra che guardano verso San Marco dei quali abbiamo detto qui
sopra, c'è un altro rilievo che prospetta sulla ruga Vecchia:
mostra il Santo attorniato da due poveri ai quali fa la carità.
Negli ultimi due decenni del Novecento la chiesa di San Giovanni
Elemosinario fu soggetta ad interventi di recupero e di restauro
che interessarono anche gli affreschi del Pordenone sulla cupola.
Ma interessarono anche la pavimentazione, che nei secoli era stata sollevata, portando così alla luce una tomba con affreschi
al suo interno, tra cui una Madonna tra santi, affreschi alquanto
degradati e poco riconoscibili.
Ma la scoperta forse di maggiore interesse è stata quella di
trovare nella tomba un grandissimo numero di ossa, appartenenti ad
differenti individui, tra cui molti bambini, probabilmente serviti
per indagini anatomo-patologiche: l'esame di questi resti farebbe
supporre che possano provenire da una scuola di anatomia, forse
presente proprio qui a Rialto, e collocati nell'aula sacra per
rispetto e pietà cristiana.
Una
foto in bianco nero mostra lo stato in cui è stata
trovata la tomba vicino all'ingresso della chiesa con i
resti ossei umani.