Un
racconto di Dino Buzzati pubblicato nel 1965 apriva il mistero sulle
origini di una pipa di terracotta che veniva chiamata ora pipa di Chemnitz,
ora pipa di Schemnitz.
Anche ne "Il libro delle pipe", scritto a quattro mani da Dino
Buzzati con il cognato Eppe Ramazzotti (pubblicato la prima volta nel
1966) il mistero del nome e delle origini di queste pipe non si chiariva.
Una interpretazione della pipa
di "Chemnitz" contenuta ne "Il libro delle pipe"
di Dino Buzzati ed Eppe Ramazzotti che sono anche gli autori del
disegno. Merita di essere riportata per intero la didascalia che
scrissero per questo disegno:
«La vera Pipa in terra di Chemnitz è leggermente diversa dalla
presente, che tuttavia proviene dalla stessa città; tanto è vero che
si intravede dietro ad essa il più insigne edificio municipale. La
vera Pipa di Chemnitz (per cui il Marsilii delirava) ha carattere
popolare, con coperchietto piatto senza pretese, canna di marasca e
imboccatura di corno. Solo per le classi agiate essa assume
decorazioni e coronamenti metallici d'alto pregio! Il Valvassore
Giuseppe Stefanin ne comprò sette e le pagò care.»
Ne "Il libro delle pipe", scritto da Dino Buzzati assieme al
cognato Eppe Ramazzotti, le pipe di Schemnitz sono chiamate di Chemnitz.
Vale la pena riportare quanto scrivono gli autori: «Per quanto qualche
autore le classifichi tra quelle di terra, noi crediamo meglio -dopo
alcune esitazioni- di farle a sé stanti; ci incuorano a ciò la lor
capitale importanza e la presenza, in molte di esse, del coperchietto a
scatto.
Alle Pipe di Chemnitz spetta senz'altro uno stallo di primissimo rango:
numerosi sono gli scrittori, tra cui il nostro Marsilii, che ne tesson le
lodi senza riserve; non ci compete poi d'illustrare quali capi d'opere di
bulino e di cesello sieno alcuni coperchietti di questa specie, in oro ed
in argento, sormontati talora da mitre episcopali in filigrana a tela di ragno.
Dovremmo qui dir la nostra: ma una certa sera l'un di noi, recatosi nel
suo studiolo a meditare il teorema dell'aumento finito, in sanissime
condizioni di spirito, accese una di tali Pipe, già ben colorita, e
n'ebbe una sgradevole, anzi una pessima impressione. In verità
penosissima.»
A questo libro Eppe Ramazzotti ne fa seguire uno scritto da solo, con la
prefazione del cognato Dino Buzzati, "Introduzione alla pipa".
Nel sesto capitolo si occupa delle pipe di Schemnizt, che ancora chiama
pipe di Chemnitz e le ritiene originarie della Sassonia.
Chemnitz, che in lusaziano (o sorabo) ha come nome Kamjenica, appartenne
alla Repubblica Democratica Tedesca e nel 1953 vide cambiato il proprio
nome in Karl-Marx-Stadt. Riacquistò il nome originario di
Chemnitz nel 1990, a seguito di un referendum cittadino.
La città, che deve il suo nome al fiume che l'attraversa, non possiede
una tradizione che la leghi alla produzione di ceramiche o terrecotte: vi
si producono fibre tessili già dal XIV secolo e nell'Ottocento vi si
sviluppò l'industria meccanica. Le prime macchine utensili e le prime
locomotive tedesche furono infatti costruite in questa città
Se restava l'incertezza del nome Chemnitz oppure Schemnitz, restava anche
l'incertezza di dove queste pipe fossero originarie. Le cose si
complicarono ulteriormente quando si venne a sapere che almeno alcune di
tali pipe, dalla caratteristica sezione ottagonale del fornello, erano
state prodotte a Bassano del Grappa (in provincia di Vicenza).
Ora, grazie al paziente lavoro dell'amico ingegner Alan Kužel di Praga,
si è riusciti a fare un po' di luce su queste pipe.
L'ing.
Alan Kužel di Praga.
(foto del 1975)
Pipe
di Schemnitz: nonostante riproducano fedelmente quelle
fabbricate a Schemnitz, queste sono state fabbricate a Bassano
del Grappa.
Pipa
di Schemnitz a forma cilindrica senza la conchiglietta sul fondo.
Si può così affermare che queste pipe sono originarie della Slovacchia; in
questo territorio il fumo si era diffuso durante la Guerra dei trent'anni
probabilmente attraverso le truppe danesi del generale Ernst von Mansfeld
alla fine del primo quarto del XVII secolo. Fu in questo tempo che fecero la
loro apparizione le prime pipe.
La città che ne vide una grande diffusione fu Banská Štiavnica, che diede
loro pure il nome: sono infatti chiamate «štiavničky».
E' necessario ricordare che il nome ungherese di Banská Štiavnica è
Selmécbánya (nome completo Selmecz-es Bélabánya), infatti molte di
queste pipe recano sul marchio la scritta «Selmecz».
Ma non basta: il nome tedesco di questa città è Schemnitz e nelle pipe
prodotte durante l'impero austro ungarico troviamo questa scritta «Schemnitz».
Pipa
di Schemnitz prodotta in Slovacchia a forma svasata con
sfaccettatura ottagonale.
Due
pipe di Schemnitz appartenenti alla categoria «tschibucks»,
probabilmente di derivazione turca. Spesso questo tipo di fornelli
veniva smaltato a Vienna (e più tardi anche a Nova Baňa).
La fabbricazione delle pipe in terracotta nella Slovacchia è appartenuta
alla migliore tradizione artigianale e molte, assieme al macchinario per la
loro produzione, si possono oggi ammirare nei musei di Bratislava e di Banská
Štiavnica.
Le pipe di Schemnitz non avevano solo la forma a sezione ottagonale, con o
senza la conchiglietta sul fondo, che è quasi l'unica forma attraverso la
quale noi abbiamo imparato a conoscerle, ma venivano prodotte anche
cilindriche (come quella sopra a sinistra), a botticella, a cono rovesciato,
a forma di tazza oppure svasate (come quella qui sopra) e persino modellate
a forma di testa di vecchio barbuto.
Un gruppo a se stante di pipe di Schemnitz era costituito dalla forma «tschibuks»,
di probabile derivazione turca, che era spesso smaltata, ma non i loco,
bensì a Vienna e solo più tardi a Nova Baňa.
Le pipe di Schemnitz erano variamente decorate con linee curve, rette,
perline, rami di piante, figure, elementi architettonici, rilievi con motivi
minerari: non dimentichiamo che in tutta la zona ci sono ricche miniere,
già note ai tempi dei romani; in particolare a Banská Štiavnica, che mantiene
ancora l'aspetto medioevale di una cittadina mineraria, ci sono miniere
d'argento, così come a Kremnica (in ungherese Körmöczbánya, in tedesco Kremniz)
miniere d'oro.
Sono gli attrezzi del minatore ad essere assurti a simbolo della città
mineraria di Banská Štiavnica (in tedesco Schemnitz).
Nel
marchio impresso sul fornello di una pipa di Schemnitz sono
riconoscibili i due attrezzi
da minatore incrociati del tutto simili a quelli simbolo della
città di Banská Štiavnica.
Le pipe di Schemnitz, almeno quelle dalla forma classica ben conosciuta,
sono state raramente smaltate.
L'argilla che veniva usata era quella rossa
che proveniva da Ostrá Lúka e da Rakovec e quella bianca che giungeva da
Belǔse: le due argille venivano mescolate in una certa proporzione, in
modo che quella bianca, più grassa, desse robustezza alla pipa, e quella
rossa la colorazione. Ma di questo si dirà più avanti, parlando della
lavorazione.
La massima diffusione delle pipe di Schemnitz si ebbe nel XIX secolo.
Esse furono fabbricate principalmente in queste località della Slovacchia:
a Banská Štiavnica, dove i fabbricanti più importanti erano Anton Hönig,
la vedova di Michel Hönig, Josef Schimdt, Kern, Pohl e altri, a Zvolen (in
ungherese Zólyom e in tedesco Altsohl) con il laboratorio di Eduard Takáč,
ed a Kremlica (in ungherese Körmöczbánya, in tedesco Kremniz) dove era
famosa la fabbrica del signor Štiaszny. Il marcio usato spesso da questa
ditta era «Stiaszny Körmöcz», perché il nome del proprietario si
dice in slovacco appunto Stiaszny, che significa «fortunato».
Un marchio di una pipa
di Schemnitz: questo era di Stiaszny che aveva il laboratorio a
Kremlica (in ungherese Körmöcz), una cittadina ad una
quarantina di chilometri da Banská Štiavnica.
L'ultima fabbrica di pipe in terracotta di Banská Štiavnica e dell'intera
Slovacchia fu quella di Karel Zachar, chiusa nel 1959. I marchi usati furono
«Zachar-Selmeczen», oppure «K. Zachar-B. Štiavnica» e anche
«C. Zachar
in Schemnitz».
Tuttavia le pipe di Schemnitz vennero fabbricate spesso altrove.
Da tempo si sa della fabbrica di Bassano del Grappa, ma a questa si devono
aggiungere altri paesi: le pipe di Schemnitz sono rintracciabili in tutta l'Austria-Ungheria,
in Germania, Russia, Belgio, Inghilterra, Stati Uniti, Canada, Sud Africa ed
India. In alcuni di questi paesi esse furono propagate dagli emigrati
slovacchi, come ad esempio in Sud Africa dove esisteva una grande missione
slovacca. In altri paesi, come ad esempio l'India, sorsero dei laboratori
che le vollero imitare. Gli stampi infatti venivano o copiati, oppure
regolarmente acquistati, ed ogni pipa ha un marchio di controllo.
Non è difficile immaginare come questi marchi di fabbrica venissero
imitati, magari per suggestionare il compratore con parole straniere che
richiamassero il luogo d'origine di queste pipe.
A volte venivano commessi anche dei grossolani errori, probabilmente per
l'ignoranza della lingua, e così una dimenticanza della lettera «S»
sul marchio potrebbe aver trasformato «Schemnitz» in «Chemnitz»,
dando origine a non pochi equivoci sulla vera origine di queste pipe.
E che dire di una pipa che porta nel marchio addirittura la storpiatura «Cemnitz»
(dove oltre alla «S» è stata persa anche la «H»)?
Ma c'è di più: esistono delle pipe di Schemnitz, quasi sicuramente
fabbricate a Bassano del Grappa, che recano scritto «Takagg-Selmeczi»
oppure «Takacs Selmeczi», ove il laboratorio di Eduard Takáč
esisteva, ma non nella città di Banská Štiavnica (Selmecz), bensì a
Zvolen.
Due pipe di Schemnitz
prodotte dal laboratorio di Stiaszny a Kremlica, ad una quarantina di chilometri da Banská Štiavnica.
L'ultimo laboratorio che produceva
le pipe di Schemnitz fu quello di Karel Zachar. che rimase attivo
dall'ultimo quarto del XIX secolo fino al 1959.
Anche dopo la morte di Zachar, quando la fabbrica passò al nipote Rudolf
Móczik, la produzione venne continuata sotto il vecchio nome del suo
fondatore, anche per non perdere l'onore di essere una ditta
"privilegiata".
Erano occupati da cinque a dodici tra operai, garzoni ed apprendisti e le
pipe arano fabbricate con sistemi artigianali, usando dei macchinari
primitivi.
Le pipe di Zachar, che nella maggior parte furono vendute in Slovacchia,
hanno ricevuto numerosi diplomi alle esposizioni dell'Impero
Austro-Ungarico (1885-1896). Il processo di lavorazione delle pipe di Zachar
era simile a quello usato dagli altri fabbricanti di pipe.
L'argilla grassa bianca e quella rossa venivano mescolate in un recipiente
(spesso una tinozza) colmo d'acqua. Filtrato il liquido torbido e tolte le
impurità, in un periodo da uno a sei mesi l'argilla si depositava
lentamente sul fondo. Questa veniva fatta asciugare all'aria per un paio di
settimane e quindi ne venivano fatte delle palle che, lasciata ulteriormente
colare l'acqua in eccedenza ancora per un po', potevano conservarsi a lungo
in un ambiente umido, in attesa di essere utilizzate.
Le palle d'argilla venivano quindi ridotte manualmente a forma di
cilindro, lungo circa mezzo metro e del diametro di 10 centimetri.
Successivamente una macchina preparava dei bastoncini d'argilla lunghi un
metro e spessi da due a quattro centimetri. Queste stecche venivano tagliate
in verghette della lunghezza desiderata.
Lo
stampo (in piombo, oppure ottone o anche di un'altra lega metallica)
con cui veniva sagomata l'argilla per ottenerne pipe.
La fabbricazione vera e propria delle
pipe avveniva nello stampo, munito di due pioli per perforare il fornello
ed eventualmente di un punzone per l'eventuale rilievo ornamentale.
L'artigiano aveva intagliato la forma di legno e da questa era stato
ottenuto lo stampo, più spesso in economico piombo oppure in più costoso
ottone, più resistente, ma anche in altre leghe metalliche.
Più complesso si presentava invece il lavoro per la preparazione dei punzoni
con i rilievi e quelli con i marchi, purché si trattava di incidere il
disegno o la scritta in negativo.
Nel laboratorio di Zachar esistevano esattamente cento stampi differenti.
Un
punzone per marchiare le pipe di terracotta.
In
un recipiente d'argilla simile a questo venivano introdotte le pipe
per poi essere cotte nel forno.
Il piccolo cilindretto d'argilla
veniva spennellato con del petrolio (oppure anche con olio), messo nello
stampo e poi pressato sotto il torchio.
Dopo questa operazione la pipa grezza veniva rifinita.
Lo
schema del funzionamento di un fornello di una pipa di
Schemnitz.
Alcune pipe avevano tra la camera di condensazione (b) e la camera di
combustione (a), due fori: uno (c) serviva a depositare per gravità gli
umori tabagici mentre l'altro (d) costituendo il percorso più breve per
l'aria, procurava un fumo piacevolmente asciutto.
Non possiamo dubitare che l'artifizio non funzionasse perché, oltre ad
essere stato protetto da brevetto da Zachar, era anche molto apprezzato
dai fumatori, cosicché nell'anno più propizio furono vendute 10.000 di
tali pipe.
Quando la pipa era ancora umida, vi venivano stampigliati i marchi di
fabbrica e poi era lasciata all'aria per alcuni giorni. Veniva quindi
nuovamente passata con petrolio ed infine levigata con una bacchetta di
vetro.
La cottura avveniva inizialmente in un forno per il pane. Le pipe erano
messe in un recipiente d'argilla e poi nel forno, alimentato a legna.
Dapprima la temperatura era bassa, quindi veniva portata a oltre 1000
gradi. L'intera cottura durava dalle 16 alle 18 ore.
Le pipe di Zachar (e generalizzando tutte le pipe di Schemnitz) esistono
in tre principali colori: nero, bruno chiaro con macchie e bruno rossastro
naturale.
Una
pipa in terra di Schemnitz prodotta dal laboratorio di Anton Partsch.
I colori dipendevano dalla lunga esposizione al fuoco del forno: per
ottenere il colore nero venivano messi tre strati di schegge di legno nel
recipiente d'argilla che conteneva le pipe da cucinare, quindi il
recipiente veniva chiuso. I vapori del legno coloravano in profondità di
nero l'argilla delle pipe.
Le pipe bruno chiare con macchie,
quasi marmorizzate, invece venivano colorate dopo la cottura con un metodo
particolare: la cottura normale donava alle pipe un colore naturale,
quindi quando erano ancora calde venivano spruzzate con del fango. Il
fango si asciugava e poi le pipe, infilate in una specie di spiedo,
venivano rigirate sopra un fuoco ottenuto bruciando della paglia. Così
arrostite, dove c'erano gli spruzzi di fango rimaneva il colore bruno
naturale, mentre dove non c'era la protezione del fango si formavano delle
macchie più scure, a causa del calore e del fumo della paglia bruciata.
Alla fine il fango era rimosso.
Le pipe di Schemnitz finite venivano lucidate con cera d'api. Venivano
quindi montati il coperchietto e le altre guarnizioni metalliche che
provenivano dalla Boemia e da Vienna. Solo più tardi alcuni fabbricanti,
tra i quali Zachar, si misero a produrre queste rifiniture.
Con l'aggiunta del cannello e del bocchino, solitamente in corno, le pipe
di Schemnitz erano pronte a soddisfare i gusti del fumatore più esigente.