Lo
stretto sotopòrtego Zane che conduce all'omonima calle.
A San Stin.
La calle, che con una estremità termina in un sotopòrtego che si apre
sulla calle
de l'Ogio o del Cafetièr, prende il nome dall'antica famiglia Zane
proprietaria di molti stabili nei dintorni.
Calle
e sotopòrtego Zane nell'incisione del 1821 di Giovanni
Battista Paganuzzi "Iconografia delle Trenta Parrocchie
di Venezia".
Nonostante nel passato questa famiglia sia stata messa in relazione con
gli Ziani, famiglia che diede due Dogi alla Repubblica, Sebastiano e
Pietro (Girolamo Alessandro Cappellari Vivaro, 1664-1748), oggi nessuno sostiene più questa ipotesi.
Piuttosto più credibilmente si ipotizza che fossero originari di Eraclea, da dove sarebbero
giunti a Malamocco e quindi a Venezia dove attorno al 960, assieme alla
famiglia Cappello, costruirono la chiesa di Santa Maria Mater Domini, a
quel tempo in stile bizantino, con tre navate.
Nel XIII secolo un ramo di questa famiglia abitava nella parrocchia di San
Stin: un Nicolò Zane da San Stin nel 1276 venne eletto Procuratore di San
Marco: altri abitavano in un palazzo in riva del Carbòn, sul Canal
Grande, che poi passò di proprietà ai Cornèr Piscopia e quindi ai
Loredan ed oggi è una sede del Municipio di Venezia.
Nella
veduta di Venezia "a volo d'uccello" di Jacopo de'
Barbari del 1500 è visibile il palazzo degli Zane «...sul
canton del rio...» (qui evidenziato assieme al ponticello
privato nell'angolo inferiore sinistro) nel suo stato prima
dell'intervento del Longhena.
Il
sotopòrtego Zane visto dall'interno dell'omonima calle.
Gli Zane di cui ci occupiamo qui ebbero il palazzo dominicale vicino a San
Stin: una palazzina
trecentesca che nel passato era stata di proprietà della famiglia
Morosini: le cronache precisano che si trovava «...sul canton del
rio...» (all'angolo del rio), ed infatti ancora oggi il palazzo si
trova all'incrocio del rio di S. Giacomo dell'Orio con il rio di Sant'Agostin.
Nel 1310 venne concesso ad Andrea
Zane di poter costruire un ponte privato sul rio di Sant'Agostin
per avere un accesso diretto alla loro proprietà: «...in rivo sancti
Augustini ad suam possessionem, quam ibi habet, et ponere caput super
terram vacuam comunis quae fuit olim Bajamontis Theupoli proditoris,
faciendo illum ita altum sicut est alius pons sancti Augustini...» (il
Maggior Consiglio infatti aveva decretato il 25 giugno 1310 che la casa di
Bajamonte
Tiepolo venisse distrutta dalle fondamenta «...nec amplius possit
construi.»): nel particolare della veduta del de' Barbari mostrata
sopra, in basso a destra, è visibile questo ponticello privato che
scavalca il rio di Sant'Agostin.
Al
civico 2385 di calle Zane, l'emblema della Scuola Grande di San Rocco,
proprietaria di questi edifici
L'emblema
della Scuola Grande di San Rocco, a graffito, al civico 2388 di
calle Zane,
proprietaria degli edifici.
Apparteneva a questa famiglia il senatore Carlo Zane, figlio di Bernardo e di
Morosina Morosini, che troviamo nel 1545 quale Auditor Vecchio (una sorta di
giudice d'appello delle sentenze). Era padre di Carla che era stata chiesta in
sposa dal nobile Giambattista Pesaro interessato più all'eredità del padre
piuttosto che alla figlia.
Dal momento che il suocero ancora non passava a miglior vita, architettò
il modo di accelerarne la fine: così nella notte del 3 dicembre 1563, con un
domestico, aspettò il ritorno del suocero a casa per colpirlo con un colpo di
archibugio: ma mancò il bersaglio.
Il
palazzo che fu dei Zane sul lato che prospetta sul rio di Sant'Agostin.
Non
si scoraggiò e due mesi dopo, il 5 febbraio 1564, riprovò mentre lo Zane
stava transitando in gondola sotto il ponte di San Boldo.
Il Consiglio di Dieci stabilì una sorta di taglia in danaro a favore di
chi avesse denunciato il colpevole.
Lo stratagemma funzionò inducendo il domestico del Pesaro a denunciare il
proprio padrone il quale, sotto tortura, confessò le circostanze e con
sentenza del 9 febbraio 1564 venne giustiziato per impiccagione tra le due
colonne di Marco e Todaro, in piazzetta di San Marco.
Fu all'incirca in questo periodo che gli Zane di San Stin (gli Zane erano
suddivisi in almeno tre rami principali, Santa Maria Mater Domini, San
Paternian e San Stin) presero la decisione di
ristrutturare il proprio palazzo e per questo incaricarono quello che
all'epoca era certamente il miglior architetto sulla piazza, Baldassarre
Longhena (1596/7-1682), che oltre alla fama delle sue opere (ca' Rezzonico,
ca' Pesaro, basilica della Salute, tanto per citarne solo tre) era anche
conosciuto dalla famiglia Zane per la quale aveva già lavorato, oltre ad
avere lo studio a San Severo, in una proprietà degli stessi Zane!
Se il committente, Domenico Zane, morendo nel 1672, non riuscì a vedere l'opera finita,
neppure il Longhena riuscì a completarla,
lavoro che fu portato avanti dalla sua bottega e specificamente da
Domenico Rossi (1657-1737) e da Antonio Gaspari (circa 1660-1738/49), che
per gli Zane aveva costruito la loro cappella di famiglia nella chiesa di
San Stin, oltre che realizzare la scala monumentale nel loro palazzo e
ridisegnare il prospetto sul loro giardino privato.
Morendo, Domenico Zane lasciò ad un suo nipote, Marino Zane, tutti i
propri beni che comprendevano anche una ricca biblioteca e numerosi quadri
di pregio.
Marino Zane, appassionato d'arte, bibliofilo e collezionista di ceramiche,
non solo si impegnò a conservare e custodire le collezioni dello
zio
Domenico, ma da parte sua anche le arricchì con nuovi contributi, tra cui
libri e quadri.
Fu proprio per custodire tutto questo tesoro familiare di cultura che
Marino pensò di far costruire nei terreni adiacenti al palazzo un casino
con una sala da ballo ed una biblioteca.
Numero
romano I sul pilastro d'accesso al "sotopòrtego".
Numero
romano II, civico 2363.
Numero
romano VIII, civico 2379.
Numero
arabo 60, civico 2381.
Due
numeri romani (XIV e XVI) sullo stesso architrave al civico 2385.
Lettera
D e numero romano XV al civico 2386.
Lettera
C e numero romano XVI al civico 2387.
Numero
romano XVII al civico 2388.
Dapprima incaricò Antonio Gaspari,
della bottega del Longhena, di progettare il casino lasciandogli piena
libertà di scelta; il Gaspari non completò l'opera, non tanto perché
morisse, piuttosto perché probabilmente attorno al 1725 si ritirò nel
rodigino dove aveva delle proprietà immobiliari. Fu così che Domenico
Rossi continuò i lavori avvalendosi per le decorazioni della
collaborazione di artisti rinomati: Abbondio Stazio (1663-1757) per gli
stucchi, Andrea Brustolon (1661-1732) per le opere scolpite in legno mentre
per gli affreschi si pensa che si possano attribuire a Sebastiano Ricci
(1659-1734).
La palazzina divenne così un
luogo di cultura e di svago intellettuale separato dalle stanze ufficiali
del palazzo di famiglia, che comunque restava appena a fianco.
Nel 1709, il 17 febbraio, morì Marino Zane, settantenne, lasciando
quattro figli: tre maschi ed una femmina. Maria, la femmina, entrò in
convento, Leonardo morì giovane, Domenico ebbe una figlia femmina e
quindi tutto passò al figlio Vettor, sposato con Elena Michiel, che si
fece carico degli affari di famiglia; la coppia ebbe un figlio che però
mori quando era ancora in fasce.
Vettor Zane morì precocemente nel 1715, a 49 anni e così sorse il
problema della successione: Vettor per testamento aveva aveva lasciato
tutto il cospicuo patrimonio alla moglie Elena Michiel, ma un antico
documento (di quasi quattro secoli prima!) disponeva che la successione
potesse avvenire solo per linea maschile, per cui un Antonio Zane del fu
Francesco impugnò l'atto
La controversia testamentaria, vista anche l'importanza del patrimonio in
gioco, ebbe molti intrecci e risvolti, per i quali questa non è la sede
per approfondire, che impedirono il passaggio dell'eredità alla vedova,
Elena Michiel, cosicché il patrimonio nel 1716 passò a Maria Zane Venier.
Alcuni
moderni rilievi (alcuni con motivo classico) applicati su un
muro di abitazione di Calle Zane, in corrispondenza dei numeri
civici 2381A, 2382 e 2383: coppia di pavoni che si abbeverano
ad una fonte, entro comparto rettangolare, patera con il
motivo di quadrupede (cane?) che addenta un uccello (?),
stemma con fascia con alcuni caratteri illeggibili o di
fantasia che ripartisce due campi, uno con la luna, l'altro
con una stella.
La
calle Zane.
Alla morte di quest'ultima, i beni entrarono nel patrimonio dei Venier di San
Vio.
Poi nel 1784 il palazzo venne ceduto alla famiglia
Collalto
che vi tenne le proprie collezioni di antichità e la biblioteca.
Nel 1810 le collezioni vennero disperse e sotto la dominazione austriaca
il palazzo ospitò una scuola tecnica.
Tutt'oggi il palazzo continua a ospitare un istituto scolastico.
Nella calle si possono notare su un edificio gli stemmi della Scuola
Grande di San Rocco, che ne indicavano l'appartenenza a questa
confraternita.
Sono altresì rilevabili, sugli architravi di alcune porte d'ingresso, i
resti di una vecchia numerazione con numeri romani.
Infine si segnala su un edificio la presenza di alcuni rilievi moderni che
si ispirano a motivi bizantini, collocati solo per abbellimento; resta
indecifrabile uno stemma con una stella ed una luna, attraversato da una
scritta illeggibile dove, almeno una lettera (se di lettera si tratta)
appare disegnata in modo speculare.