Il
campazzo dei Treponti, compreso tra la fondamenta de la Fabbrica dei
Tabacchi (a sinistra) e la fondamenta Sant'Andrea o de la Cereria
(a destra).
A Piazzale Roma.
Nonostante questo luogo sia situato in una zona della città che è stato
soggetto a trasformazioni edilizie notevoli soprattutto agli inizi degli anni
Trenta del Novecento, la sua denominazione trova origine in una situazione
della quale abbiamo testimonianza almeno dal 1500.
I
tre ponti nella veduta di Venezia "a volo d'uccello"
di Jacopo de' Barbari. Il particolare occupa una parte
periferica del disegno, dove la deformazione prospettica è
enfatizzata, come si nota anche osservando l'edificio in alto che
appare alquanto "sbilenco".
E' nella veduta di Venezia "a volo d'uccello" realizzata da
Jacopo de' Barbari nel 1500 che vediamo raffigurati per la prima volta i
tre ponti.
L'immagine non è immediatamente intuitiva perché, rispetto al punto di
vista considerato dall'autore, si trova in una zona periferica della
città che ha subito nel disegno una deformazione prospettica con una
rotazione; si aggiunga anche il fatto che a quel tempo (1500) l'area non era
ancora stata stabilizzata ed era soggetta ad interventi di bonifica.
I
tre ponti nella mappa di Giovanni Merlo del 1696.
Quasi due secoli dopo, nel 1696,
conclusi gli interventi di bonifica ed urbanizzata l'area, Giovanni Merlo
riesce a raffigurare meglio la situazione dei tre ponti, dei canali e
delle insule, nonostante non sia minimamente all'altezza del de'
Barbari.
La situazione rimane praticamente invariata per un paio di secoli, tanto
è vero che ce ne dà conferma un quadro della pittrice Antonietta
Brandeis (1848-1926).
I
tre ponti dipinti dalla fondamenta de le Burchielle dalla
pittrice Antonietta Brandeis (1848-1926).
Ed un'ulteriore conferma arriva anche da questa fotografia databile 1930.
I
tre ponti visti dalla fondamenta de le Burchielle nel 1930.
Si tratta di un ponte che si suddivide in tre rami che hanno un pilastro
centrale in comune e raggiungono tre diverse fondamente scavalcando
altrettanti rii.
All'inizio degli anni Trenta, a seguito della realizzazione del ponte automobilistico
translagunare, della nuova area di piazzale Roma ottenuta con la
demolizione e distruzioni anche di antichi edifici, come il Purgo che vi
era stato trasferito attorno al 1587, e soprattutto del rio Novo, i tre
ponti furono praticamente ruotati di novanta gradi in modo da unire la
fondamenta de Ca' Bernardo (e la fondamenta de le Burchielle) al campazzo
dei Treponti (e quindi la fondamenta de la Fabbrica dei Tabacchi e quella
di Sant'Andrea o de la Cereria) ed alla nuova (prima non esistente)
fondamenta Cossetti sul rio Novo.
I tre ponti nel giorno
25 aprile 1933, con la folla che attende il passaggio delle
autorità intervenute all'inaugurazione del rio Novo.
Un quarto ponte, in legno, venne aggiunto sul rio Novo per assicurare il collegamento
pedonale con la fondamenta del Magazèn che in pratica
costituisce un prolungamento della fondamenta del Gàfaro.
Limiti
di proprietà (Assicurazioni Generali) sul selciato del Campazzo dei
Treponti e della vicina fondamenta di Sant'Andrea o de la Cereria.
I
tre ponti, come si presentano oggi, fotografati dal rio de le
Burchielle, dalla stessa posizione della foto del 1930: sono
spariti gli edifici sulla sinistra abbattuti per la
costruzione del rio Novo.
Uno dei progetti elaborati per la sistemazione definitiva dell'area di
piazzale Roma e del rio Novo, prevedeva la soppressione del campazzo dei
Treponti, sostituito da uno specchio d'acqua.
Questo non avvenne, forse per gli interessi patrimoniali che sussistevano, e
che esistono ancora oggi come dimostrano alcune placchette incastonate nel
selciato di parte del campazzo e della fondamenta di Sant'Andrea o de la
Cereria.
Nel XVIII secolo abitava ai Treponti un fabbricante di saponi, G. Battista Piantella,
che lavorava per il ricco mercante Antonio Biondini che, tra gli altri
affari, aveva proprio il commercio dei saponi. Quest'ultimo, essendo stato derubato dal
Piantella, lo
denunciò ed il 19 dicembre 1708
il suo ex collaboratore venne condannato al bando per vent'anni.
Il Piantella cominciò a maturare la vendetta ed un anno dopo la condanna,
il 28 dicembre 1709, nonostante fosse stato colpito dal bando, riuscì a penetrare a Venezia.
Qui, veduto passare il suo ex datore di lavoro, l'uccise a colpi di mazza.
Poi indossò gli abiti dell'ucciso (tabarro, cappello, parrucca e scarpe)
e si recò a casa sua, che si trovava lì vicino, e dopo aver ucciso la sua
serva Lucietta si impadronì di tutti gli oggetti di valore che riuscì a
trovare e fuggì.
Scoperto il duplice delitto, ed individuato il colpevole, il 21 gennaio
1710 la Quarantia Criminale condannò il Piantella.
Circa un anno dopo, il Piantella venne individuato da alcuni soldati
d'origine greca in una locanda presso il castello di San Salvatore, nel
trevigiano. Venne arrestato e condotto a Venezia dove il 1° febbraio 1711
venne eseguita la sentenza dopo aver fatto il consueto giro per la città:
condotto a Santa Croce, dopo aver subito cinque colpi di tenaglia
infuocata in altrettanti traghetti, gli venne tagliata la mano destra che
gli fu appesa al collo, legato alla coda di un cavallo venne trascinato
fino al luogo dove aveva commesso il delitto. Qui gli venne tagliata
l'altra mano, che ugualmente gli fu messa al collo. Sempre trascinato dal
cavallo fu portato in piazzetta mentre un banditore pubblico leggeva le sue
colpe e finalmente tra le due colonne di Marco e Todaro gli fu
«...
tagliata la testa, sicché si separi dal busto e muora, e diviso il suo
cadavere in quattro parti, siano li medesimi appesi ai luochi soliti sino
alla consumazione».
Destino volle che uno
di questi luoghi fosse vicino a casa sua!
Secondo il Negri, il Piantella fu l'ultimo condannato a subire
un'esecuzione rituale, o pena capitale alterata, che prevedeva l'inflizione
di tormenti anteriori alla morte, quali quelli che abbiamo visto, il trascinamento per la città a mezzo della coda di un
cavallo, il «tanagliamento delle carni con ferro rovente»,
l'amputazione della mano assassina. Anzi, il Negri ricorda anche che molta gente gettava cuscini e
materassi lungo il percorso, perché meno orribile fosse la sofferenza che
dovesse patire il reo.
Per completezza ricordiamo che anche la madre del Piantella, Maddalena,
sarebbe stata condannata come complice alla prigione a vita, «...ma
ammalatasi di febbre, in tre mesi morì».