Mondo Novo (ponte, calle, sotopòrtego, corte)

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La corte del Mondo Novo: in fondo il suo affaccio sull'omonimo rio.
A Santa Maria Formosa.
C'è chi ha ipotizzato, come il canonico Giovanni Maria Dezan e Francesco Berlan (1821-1876), che questi luoghi vogliano ricordare la benestante famiglia Mondonovo da dove proveniva, figlia dell'avvocato Giovanni Mondonovo, quella Ludovica che sposò il letterato Apostolo Zeno (1668-1750).
In realtà non abbiamo alcun indizio che qui abbia abitato questa famiglia, o che qui avesse delle proprietà.
Piuttosto ci sono molte indicazioni che questa denominazione sia derivata da un'osteria, o magazeno, che innalzava l'insegna "al Mondo Novo".
Dalla descrizione della contrada di Santa Maria Formosa fatta per l'anno 1740 veniamo a sapere infatti che nella calle del Mondo Novo esisteva il bastiòn del Mondo Novo gestito da Mattia Colletti e dai suoi fratelli, soprannominati Quaresima, che ne pagavano l'affitto ai comproprietari.
In un altro documento, lo statuto dell'arte dei salsicciai (in veneziano mariegola dei Luganegheri), troviamo scritto che fin dal 1590 tale Bortolo Scagiante aveva a Santa Maria Formosa un magazèn chiamato «...el mondo novo...».
Magazeni, a Venezia, erano chiamati gli spacci di vino, che poi si dividevano in una miriade di categorie e specie, secondo i servizi che offrivano: di massima si distinguevano in magazèni e malvasìe, ma c'erano poi i bastioni, i sammarchi e i sammarchetti, le banderuole, le càneve e le furàtole.
E' quindi molto probabile che questi luoghi abbiamo preso il nome dall'insegna di questo spaccio di vino.
Nella corte, e nella calle, sono visibili dei numeri romani apposti sopra alcune porte: fanno parte di una vecchia numerazione civica.
 
Vecchia numerazione con cifre romane sugli architravi di due porte in corte del Mondo Novo: a sinistra in corrispondenza del numero civico 5803, a destra del civico 5804.
 
La corte, con il suo gioco di scale e con l'affaccio sul rio del Mondo Novo, è il più caratteristico di questi luoghi: vi si giunge dalla calle attraverso il sotopòrtego.
La corte del Mondo Novo vista dalla rivetta sul rio.
Sulla chiave di volta della porta d'acqua che si affaccia sulla rivetta, si scorge uno stemma accartocciato con l'arma forse Bragadin o Morosini.
   
Uno stemma la cui arma risulta di difficile lettura sull'affaccio verso il rio della corte del Mondo Novo.
 
Il 4 marzo 1772 qui scoppiò un incendio e Pietro Gradenigo (1695-1776) annotò diligentemente il fatto: «Fu a pericolo di fuoco grande la notte scorsa la grande taverna, o dicesi magazzino, chiamata del Mondo Novo, a S. Maria Formosa. Con tutto ciò le fiamme incenerirono alquanti mobili riservati perché impegnati dai bevitori».
Possiamo interpretare in modo diverso quei «...mobili riservati perché impegnati dai bevitori»: erano riservati perché erano occupati (impegnati) dai bevitori? La frase non sembra avere molto senso, perché indicare questo fatto irrilevante? Piuttosto si trattava di mobili che erano stati dati in pegno (impegnati) da alcuni clienti che avevano ottenuto un prestito, come si usava praticare nei magazèni (osterie): si dava un oggetto in pegno per una certa cifra della quale si ottenevano due terzi in denaro contante, ed il rimanente terzo in vino.
 
La calle del Mondo Novo, vista dall'omonimo ponte: circa a metà, sulla sinistra, c'è il "sotopòrtego" che conduce alla corte.
Naturalmente la somma che si sarebbe dovuto restituire era quella complessiva ed è inutile dire che il vino era dozzinale (vin da pegni era un modo di dire per indicare un vino di infima qualità).
Collegata alla cronaca dell'incendio, il Gradenigo riferisce una curiosa scenetta: «Fatalità volle che, accorso con altri un fabbro vicino appellato Giuseppe Sala, restò morsicato in una gamba dal cane della Guardia Notturna» che era accorsa per domare il fuoco.
Sulla facciata sul lato del rio dell'edificio che chiude la corte del Mondo Novo sono apposte due pietre d'Istria che, entro un tondo, contengono altrettante citazioni, una in greco, l'altra in latino; citazioni che, a ben vedere, si addicono ad una locanda o osteria
 
Due iscrizioni, in greco e latino, poste sulla facciata di una casa della corte del Mondo Novo e visibili dal rio.
  
Quella latina infatti è tratta dalla Satira 11 di Giovenale: lo scalpellino ha commesso qualche errore nell'incidere le lettere sulla pietra. Forse sapeva leggere appena qualche parola, e forse neppure quella, o forse ha trascritto il testo come pensava si pronunciasse:
 «DECEL
LO · DESEN
DIT · NOSCE ·
· SE · IPSVM»
invece di «DE CAELO DESCENDIT NOSCE TE IPSVM»: discende dal cielo (ci viene dal cielo) il "conosci te stesso", (che è l'antica massima incisa sul frontone del tempio di Apollo a Delfi, che il dio ha dato come ammonimento divino).
La citazione in greco invece proviene dalla "Lettera sulla felicità", o "Lettera a Meneceo" di Epicuro:
 «· OYKETI ·
· OKN · EIN ·
· KAIPOΣ ·»
Qui il nostro scalpellino è stato più attento ed ha commesso un unico errore dividendo in due la parola «OKNEIN»: la massima si può tradurre come "non indugiare oltre ad essere felice".
   
  
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Pagina aggiornata il 20 aprile 2017