Una
"pia tradizione" racconta che San Francesco venne a Venezia.
Ma si tratta solo di una tradizione o ci sono dei fondamenti storici
attorno alla sua venuta? Se venne a Venezia, quando arrivò? dove andò?
cosa fece?
In questa paginetta si cercherà di dare una risposta basandosi
soprattutto su un'analisi critica e storica delle fonti.
Per scrivere queste note ho attinto soprattutto agli appunti presi durante
una conferenza che padre Isidoro Liberale Gatti tenne a Venezia, presso la
Scuola Grande di San Teodoro, il 7 maggio 2009 con il titolo "I
francescani conventuali. I primi tre secoli 1220-1517".
San
Francesco parla al sultano d'Egitto al-Malik al-Kāmil.
Bassorilievo di Arnaldo Zocchi (Firenze 1862-Roma 1940) sul monumento
a San Francesco, St. Joseph Square, Cairo (1909).
Sappiamo che Francesco si recò in
Egitto in occasione dell'assedio di Damiata (Dumyāt o Damietta) nel
1219, durante la quinta crociata.
Ci viene attestato da Tommaso da Celano nella sua "Vita prima di San
Francesco d'Assisi": «Nel tredicesimo anno della sua conversione,
(1219 - N.d.R.) partì per la Siria, e mentre infuriavano aspre
battaglie tra cristiani e pagani, prese con sé un compagno e non esitò a
presentarsi al cospetto del Sultano».
San
Francesco imbarcato su una nave (Bonaventura
Berlinghieri, San Francesco e storie della sua vita, Santa
Croce, Firenze, particolare).
Jacques de Vitry, vescovo di
Acri, conferma la presenza di San Francesco: «Quando è venuto nel nostro
esercito il maestro e fondatore di quest'ordine (...) non ha temuto di
attraversare l'esercito dei nemici (...) Il Sultano, re d'Egitto, gli
chiese (...) in segreto di implorare il Signore secondo le sue intenzioni
perché (...) egli potesse aderire alla religione che più piacesse a Dio.»
Anche Dante Alighieri ricordò più tardi l'incontro con il Sultano nella
sua "Commedia": «E poi che, per la sete del martiro, / nella
presenza del Soldan superba / predicò Cristo e li altri che'l seguiro,...»
(Paradiso, XI, 100-102).
Francesco quindi sarebbe partito alla volta di Acri il 24 giugno 1219 da
Ancona in compagnia di fra' Pietro Cattani dove ad attenderli c'era frate
Elia. L'incontro con il sultano al-Malik al-Kāmil potrebbe essere avvenuto
tra settembre ed ottobre, dal momento che la città di Damietta cadde in
mano ai cristiani il 5 novembre 1219.
Dopo, tra la primavera e l'estate 1220, Francesco assieme a Pietro Cattani,
frate Elia ed altri frati si imbarcava ad Acri per rientrare in Italia.
A questo punto il problema che si pone è questo: in quale porto
sbarcarono Francesco e i suoi compagni?
La "Vita prima" che Tommaso da Celano scrisse in epoca molto
vicina a quegli avvenimenti, tra il 1228 ed il 1229, quindi appena otto o
nove anni dopo quei fatti, attingendo ai propri ricordi personali ed a
quelli di altri frati, ci narra del viaggio in Egitto, dell'incontro con
il sultano, del ritorno in Italia. Ma sul "dove" sbarcò in
Italia non ci dice niente.
Tra il 1246 ed il 1247 Tommaso da Celano compone la sua "Vita seconda
di S. Francesco": c'era bisogno di conoscere il
più esattamente possibile «...i fatti e persino le parole...»
di Francesco senza limitarsi ai «...signa et prodigia...».
Francesco
predica agli uccelli, episodio appartenente alla tradizione che lo
colloca a Bevagna (Giotto, Basilica Superiore di Assisi,
particolare).
Tutti
i frati furono invitati a far pervenire i loro ricordi, gli aneddoti di
cui avevano conoscenza riguardanti Francesco, per contribuire alla stesura
dell'opera.
Nonostante tutto questo, la "Vita seconda" non aggiunge nulla di
nuovo circa il luogo dove approdò Francesco di ritorno dall'oriente.
Poco meno di quindici anni più tardi, l'Ordine francescano sentì
l'esigenza di una ulteriore indagine sul pensiero e sulle opere del
fondatore ed incaricò a condurla il ministro generale San Bonaventura da
Bagnoregio (circa 1217/21-1274).
Questi interrogò tutti i frati ancora viventi che avevano conosciuto
Francesco. Non solo: Bonaventura, nella primavera del 1263, giunse anche a Padova
dove poté ascoltare i ricordi dei confratelli veneti più anziani.
In quello stesso anno Bonaventura presentò al capitolo generale
dell'Ordine il risultato del suo lavoro, la "Legenda Major", che
diventerà la biografia ufficiale del Santo. Per la prima volta c'è un accenno a Venezia: racconta che in un'altra
circostanza Francesco, con un altro frate mentre era «...per paludes
Venetiarum...», trovò una gran moltitudine di uccelli che cantavano
sui rami. Francesco, rivolgendosi all'altro frate, commentò che anche gli
uccelli con il loro canto lodano il Creatore e decise di recitare in mezzo
a loro le lodi canoniche. Gli uccelli non volarono via, ma il loro forte
cantare non permetteva ai due frati di sentirsi tra di loro durante la
preghiera. Allora Francesco ordinò agli uccelli di smettere di cantare
fino a quando avessero finito le lodi e quelli obbedirono. Terminate le
loro preghiere, Francesco diede loro il permesso di continuare a cantare e
gli uccelli, subito, ripresero a cinguettare.
Le
"paludes Venetiarum" citate da San Bonaventura da
Bagnoregio.
Il passaggio è importante perché per la prima volta viene scritto che
Francesco venne a Venezia. Forse Bonaventura era venuto a saperlo dai
vecchi frati i quali tuttavia dovevano avere un ricordo affievolito se
restarono su un generico «...per paludes Venetiarum...».
D'altra parte nel 1220, anno del ritorno di Francesco in Italia, ancora
non c'era una presenza francescana a Venezia che si attesterà attorno al
1225.
Si deve osservare che Bonaventura non ci dice "quando" Francesco
passò «...per paludes Venetiarum...», ma semplicemente che questo
accadde in un'altra circostanza: quale, non sappiamo. Come non sappiamo
neppure chi fosse il confratello che lo accompagnava.
E' probabile che nel 1263 esistessero delle "voci" su una venuta
di Francesco in laguna, ma non c'era più memoria sul "dove"
esattamente, sul "quando", su chi fosse l'altro frate e forse
anche su "cosa" fece.
Si potrà obiettare che fece il miracolo di saper comandare agli uccelli,
ma anche questa circostanza resta in penombra per una serie di motivi.
Prima di tutto Bonaventura ha inserito l'episodio non in un capitolo
dedicato ai fatti storici della vita di Francesco, ma in un capitolo di
devozione, di carattere agiografico: "Il sentimento della pietà.
Come le creature prive di ragione sembravano affezionarsi a lui".
Senza voler mettere in dubbio il miracolo, questo potrebbe essere stato
inserito qui come fosse un abbellimento all'incerto e vago
racconto dei frati sul suo passaggio «...per paludes Venetiarum...».
In secondo luogo non si può dimenticare che Tommaso da Celano nella sua
"Vita prima" racconta un simile miracolo compiuto da Francesco
ad Alviano, tra Orte ed Orvieto, quando rimproverò le rondini che gli
impedivano di predicare.
Un altro prodigio analogo, quello della predica agli uccelli di Bevagna,
ci viene ricordato più tardi, nel XIV secolo.
Una
statua proveniente dalla demolita chiesa dei Santi Biagio e
Cataldo su una parete di quella di Sant'Eufemia.
Se
in qualche modo ci viene tramandata, seppure non dalle primissime fonti,
una presenza di Francesco «...per paludes Venetiarum...»,
ancora non ci viene detto il "quando". Dobbiamo attendere il secolo successivo, quando in un passo del "Chronicon
Venetum" (del 1342) Andrea Dandolo cita un San Francesco in laguna
giunto «...de ultra Mare...»: quindi non poteva che venire
dall'oriente, di ritorno dal suo viaggio che lo aveva visto a colloquio con
il sultano al-Malik al-Kāmil,
pertanto tra la primavera e l'estate del 1220.
Possiamo anche ipotizzare che si fosse imbarcato su una delle tante navi
veneziane che oltre a solcare il Mediterraneo con i loro traffici
mercantili davano anche dei passaggi ai pellegrini diretti o provenienti
da quei paesi e dalla Terra Santa.
Se quindi Francesco fu a Venezia, ci possiamo chiedere "dove" si fermò per
qualche settimana (a settembre era già a Viterbo ed il 29 settembre ad
Assisi per il capitolo dell'Ordine).
In un isolotto prossimo alla Giudecca, già alla fine del X secolo,
esisteva un ospizio destinato ad accogliere i pellegrini che arrivavano
dalla Terra Santa. L'ospizio aveva anche un piccolo oratorio dedicato ai Santi Biagio e Cataldo.
Appena due anni dopo la possibile venuta di Francesco, nel 1222, la beata
Giuliana dei conti di Collalto vi fonderà un monastero di Benedettine con
una chiesa intitolata agli stessi santi. La chiesa venne rifabbricata più
di una volta per essere definitivamente demolita nel 1882 per far spazio alla
costruzione del Molino Stucky che ancora oggi, seppure adibito ad altra
attività, prospetta sul canale della Giudecca.
Molti reperti lapidei della chiesa demolita servirono per abbellire la
vicina chiesa di S. Eufemia dove, tra l'altro, si può vedere una statua
del XIV secolo proveniente dalla chiesa fondata dalla beata Giuliana.
Un altro ospizio ad uso dei pellegrini esisteva, già a partire dal XII
secolo, a San Giacomo in Paluo, nella laguna settentrionale, oltre l'isola
di Murano.
L'isola era di proprietà di Orso Badoario (Badoer) che nel 1046,
unitamente ad una parte di palude (in dialetto "palùo"), la
donò a Giovanni Trono (Tron) da Mazzorbo «...che vi edificò uno
Spedale con la Chiesa consacrata al nome di San Jacomo per ricetto de i
pellegrini.»
Il luogo, sul quale poi sorse un monastero, ebbe alterne vicende: nel 1469
fu assegnato ai Frati Minori ed aggregato al grande convento di
Santa Maria Gloriosa dei Frari.
Il
doge Francesco Foscari (Lazzaro Bastiani, Museo Correr, Venezia,
particolare).
Dopo essere stata lasciata per molti decenni in una situazione di completo
abbandono, nel 1993 l'isola ha visto qualche modesto intervento conservativo da
parte del magistrato alle Acque di Venezia, limitato al restauro della
cavana, di un muro di cinta e di due edifici.
Attualmente l'isoletta sembra nuovamente "dimenticata".
San
Giacomo in Paluo nella laguna nord.
Amando i luoghi appartati, Francesco potrebbe aver scelto una di queste
due isolette, forse proprio quella con l'ospizio e l'oratorio dei Santi
Biagio e Cataldo che, pur essendo facilmente raggiungibile dall'attuale
Riva degli Schiavoni, dove giungevano dall'oriente le barche veneziane,
era alquanto discosto ed isolato dalla Giudecca.
E' pur vero che non esiste alcuna tradizione che attesti la presenza
di Francesco su una di queste due isole, il quale comunque se si fermò lo
fece per poche settimane, ma è anche vero che non c'è alcuna tradizione
neppure per un altro luogo.
Dopo esser trascorsi altri due secoli che hanno lasciato solo queste
debolissime tracce di un soggiorno "veneziano" di San Francesco,
nel 1453 troviamo un documento che afferma una cosa differente,
individuando addirittura il "dove" si sarebbe trattenuto.
Si tratta di un decreto del doge Francesco Foscari (1373-1457) del 26
giugno 1453 che, ricopiando quanto scritto nella supplica, concedeva agli
Osservanti di raccogliere elemosine in quanto si erano ritirati «...in
quo loco s Franciscus poenitentiam suam egit...» e quel luogo era
chiamato «...monasterium sancti Francisci de Deserto...»
Sette anni più tardi, il 2 settembre 1460, papa Pio II con il breve
"Exigit sincerae devotionis" conferma che l'isola di San
Francesco del Deserto dovesse restare dei francescani Osservanti perché
lì, «...ut fama costans habet...» Francesco vi aveva
soggiornato costruendovi il primo convento.
Se esisteva una «fama costans», una fama durevole e continua,
dovrebbe essere rimasta una documentazione storica precedente.
L'isola di San Francesco del Deserto si trova nella laguna nord di
Venezia, non lontano dall'isola di Burano.
Anticamente era chiamata isola "delle Due Vigne" perché vi
erano due vigneti e nel 1231 era di proprietà del nobile Jacopo Michiel:
in quell'anno il nobile veneziano permise ai frati minori di poter sostare
in «...illa mea insula (...) que quondam fuit due vinee.»
Frati
a San Francesco del Deserto in una vecchia cartolina illustrata.
I
francescani erano giunti circa sei anni prima a Venezia e nella loro
predicazione si spostavano nella laguna di isola in isola: da qui il
permesso che Michiel concesse loro di poter sostare nella sua isola.
Se undici anni prima vi avesse soggiornato San Francesco in persona
compiendovi il miracolo degli uccelli, questo fatto così importante
sarebbe stato citato, mentre il Michiel in questo documento si limita a
scrivere che in quell'isola una volta c'erano due vigne.
Nel 1231 quindi non troviamo ancora traccia di una «fama costans».
Trascorrono due anni: il nobile Michiel ha una visione di San Francesco in
Paradiso e si converte lui stesso al francescanesimo costruendo sull'isola
una cappella, o oratorio, dedicata al Santo.
E' del marzo 1233 un atto notarile con il quale dona l'isoletta ai frati
per i quali ha viva simpatia. Si riserva il diritto di costruirvi una
casetta per isolarsi in penitenza ed in preghiera durante le Quaresime
precisando che alla sua morte questa sarebbe passata ai frati: «Illa mea
insula posita inter Burianum de Mare et Litus (...) supra quam ecclesiam
beati Francisci est edificata...».
Ma non si parla di un San Francesco che vi abbia soggiornato e tanto meno
che vi abbia costruito un oratorio ed una casetta.
Ancora non c'è traccia di una «fama costans».
Come non c'è traccia di San Francesco nel testamento che il nobile
Michiel fece nell'agosto 1243 dove compie numerose donazioni a favore di
conventi cui era particolarmente legato. Come abbiamo ricordato nel 1263 San Bonaventura
fu nel Veneto per interrogare i frati anziani: tra questi c'erano
sicuramente frati che avevano abitato o visitato l'isoletta o avevano
conosciuto frati che vi erano stati, ma nessuno ricorda che ci fosse stato
San Francesco.
L'isola
di San Francesco del Deserto, già "delle Due Vigne",
"della Contrada", "Sanctus Franciscus de Contrata",
come si presenta ai nostri giorni.
Forse, ma non lo sappiamo storicamente, qualcuno potrebbe avergli
raccontato del miracolo degli uccelli, ma S. Bonaventura lo colloca
genericamente nelle «...paludes Venetiarum...» quasi come un
abbellimento agiografico nella sua "Legenda Major": eppure
sarebbe stato importante, ed anche un onore, per i frati veneti raccontare
che San Francesco avesse sostato nella stessa isola in cui abitavano. Abbiamo visto che nel 1342 il doge Francesco
Dandolo nel suo "Chronicon Venetum" narra di un San Francesco
che arrivò a Venezia, ma tace sul fatto che si fosse fermato all'isola
"delle Due Vigne", vi avesse costruito un conventino e lì
avesse parlato con gli uccelli: «Beatus Franciscus de ultra Mare rediens,
in paludibus Venetiarum deambulabat, et invenit maximam avium multitudinem,
canentium in virgultis».
Anche nel 1342 non troviamo traccia della «fama costans».
Nel 1390 lo storico fra' Bartolomeo Rinonichi da Pisa pubblicò, dopo
cinque anni di lavoro, una storia "De confirmitate vitae Beati
Francisci ad vitam Domini Iesu".
Si tratta di un'opera imponente per l'epoca, una sorta di raccolta di
tutte le tradizioni che circolavano attorno a San Francesco.
Fra' Bartolomeo cita tre volte l'isola di San Francesco del Deserto: non
la chiama più "delle Due Vigne", ma "de Contrata" (di
contrada);
dopo qualche anno diventerà "del Deserto".
Con l'isola cita anche il convento. Se la «fama costans» si fosse
sviluppata lo avrebbe sicuramente scritto.
Ecco le tre occasioni in cui ne parla.
Una prima volta racconta di un «quidam civis» che sognò San
Francesco: lo raccontò a fra' Gerardo da Modena, che stava predicando a
Venezia, e poi costruì un «locum S. Francisci de contrata Venetiis».
Lui stesso si fece frate.
Il Rinonichi elenca poi i luoghi francescani a Venezia: tra questi cita
naturalmente il «locum S. Francisci de Contrata» precisando «...quem
locum fecit...» un cittadino dopo aver sognato il beato Francesco.
Ritorna sull'episodio una terza volta ricordando che dopo un sogno «...quidam
nobilis homo...» fece costruire il luogo che oggi si chiama «Sanctus
Franciscus de Contrata» e dopo aver donato ogni cosa si fece frate e la
moglie clarissa.
Fra' Bartolomeo Rinonichi parla evidentemente di Jacopo Michiel ed
altrettanto chiaramente dice che fu lui a costruire il conventino e non
San Francesco.
Cimabue,
ritratto di San Francesco (particolare), Basilica di Assisi.
Neppure
ci presenta un San Francesco presente nell'isola, cosa che avrebbe portato
maggiore lustro ed importanza.
Ancora una volta dobbiamo concludere che alla fine del XIV secolo non
esisteva quella «fama costans» che appare all'improvviso nel 1453
(ducale del doge Foscari) e nel 1460 (breve di Pio II).
In quegli anni i frati Conventuali che avevano dimorato nell'isola
l'avevano già abbandonata a causa dell'aria insalubre del luogo. Attorno
al 1420-1430 il loro posto era stato preso dai frati Osservanti.
Gli Osservanti avevano trovato l'isola in stato di abbandono e con fra'
Nicola Erizzo si misero all'opera per compiervi un grande restauro.
Per questo gli Osservanti avevano rivolto una supplica al doge Francesco Foscari:
che fosse loro concesso di raccogliere elemosine in tutto il
territorio della Repubblica per restaurare gli edifici di San Francesco
del Deserto.
Per giustificare l'intervento del Doge a sollecitare la generosità dei
fedeli si insinua la notizia che lì vi aveva soggiornato San Francesco
per fare penitenza.
Sette anni dopo la notizia si perfeziona arricchendosi di altri
particolari nel breve papale del 1460 "Exigit sincerae devotionis":
San Francesco non solo vi aveva soggiornato ma, «...ut fama constans
habet, a B. Francisco (...) fundata.»
Questa notizia consente al breve papale di lanciare pesanti rimproveri ai
frati Conventuali che per «...incuria et negligentia...» avevano
lasciato cadere nell'abbandono quel luogo che era stato santificato dalla
presenza del Santo che lo aveva fondato, rinverdendo la sua figura di
muratore, come aveva fatto a San Damiano in Assisi.
Ci eravamo posti tre domande: quando San Francesco fu a Venezia, dove
soggiornò e cosa fece.
Resta di cercare di rispondere a quest'ultima domanda.
Cercando nelle fonti più antiche del Duecento e del Trecento non andiamo
oltre al miracolo degli uccelli raccontato da San Bonaventura nel 1263 da
inquadrare più che in un contesto storico in un ambito agiografico, per
le considerazioni fatte sopra.
Solo nel XV secolo, dopo che gli Osservanti avevano preso il posto dei
Conventuali, cominciano a nascere racconti su un San Francesco
"veneziano".
San Francesco avrebbe intrattenuto rapporti amichevoli con le famiglie
più influenti ricevendo in dono terreni sui quali edificare conventi ed
oratori. In realtà si tratta di vecchi schemi storiografici che vedono un
San Francesco patteggiare donazioni o porre la "prima pietra" di
chiese e conventi in tutta Italia. Persino Francesco Sansovino, un secolo
più tardi, cade in questo trabocchetto sostenendo, nel 1581, che San
Francesco avesse fondato nel 1220 addirittura il convento di Santa Maria
Gloriosa dei Frari!
«...essendo
venuto in queste parti San Francesco, ottenne dal Dominio
(essendo allora Doge Henrico Dandolo) tutto il terreno del suo
circuito, onde cominciatasi la machina in quella forma che si
vede, concorsero alla spesa molti, così nobili come cittadini».
In realtà nel 1220 doge di Venezia non era Enrico Dandolo, ma
Pietro Ziani. Francesco Sansovino, Venetia città nobilissima, et singolare.
A lato è tutto un fiorire di miracoli prodigiosi compiuti da san
Francesco: la laguna di Venezia si stava prosciugando, il Santo la
benedisse e miracolosamente si riempì nuovamente d'acqua (San Francesco
come novello Mosè); di ritorno dalla Siria giunto a Treporti (località
ai margini della laguna)
assieme ad Illuminato da Rieti incappò in una furiosa tempesta: solo per
la sua presenza le acque si calmarono (San Francesco come Gesù). Da un
manoscritto del XVII secolo: «...piantò di sua mano (...) un arbore di
vigna che sino al presente anno 1677, vive e fa frutti de' quali mangiati,
o posto del legno nell'acqua, e bevuta dall'infermi molti ne risanano.»
E ancora: «...piantato un suo bastone di pino, tagliato sulle coste di
Albania, quello germogliasse, ponesse radici e crescesse per incanto...».
Di fatto non sappiamo nulla, o quasi, di storico della sua sosta a
Venezia.
Probabilmente non fece cose degne di nota se i frati, interrogati nel
1263, non seppero dire nulla a San Bonaventura.
Con padre Isidoro Liberale Gatti dobbiamo concludere che «...il
Francesco "veneziano" è un Francesco perduto».