Il tabacco a Venezia

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Girolamo Manfrin (Anonimo). 
«Tabacar Manfrin co' tuti i so vasi»: è un motto veneziano che si poteva ancor udire fino a qualche decennio addietro. Veniva rivolto ad un tabaccone sfrenato, sarebbe insomma l'equivalente di "fumare come un turco". Letteralmente si può tradurre con "fumare Manfrin con tutti i suoi vasi" (di tabacco).
Chi era questo Manfrin? Era l'appaltatore generale del tabacco a Venezia negli ultimi anni della Repubblica, a partire dal 1777.
Girolamo Manfrin, che era nato a Zara, si era aggiudicato l'appalto del tabacco nel 1777 sotto il falso nome di Pietro Fioretti. Aveva infatti avuto dei problemi con la giustizia veneta per malversazioni e corruzione; per questo era anche stato incarcerato per due mesi nei «camerotti» del Consiglio dei Dieci e bandito da Venezia per i dubbi sulla sua onestà. Tuttavia riuscirà a tornarci, addirittura con il permesso di girarvi armato.
Con il commercio del tabacco, e con la sua esosità, si era arricchito oltre misura divenendone l'arbitro assoluto dei prezzi e acquistando per sé il titolo di marchese.
Aveva costruito una fabbrica di tabacco a Nona (l'attuale Nin, in Croazia) dove aveva vari possedimenti, tra i quali tremila campi coltivati (pari a circa 1.100 ettari).
 
 
Palazzo Manfrin era in origine un palazzo della famiglia Priuli, costruito nel Cinquecento. Nel Settecento venne rifabbricato su disegno del Tirali e per testamento passò alla famiglia Venier. Nel 1787 venne acquistato da Girolamo Manfrin che lo trasformò in una delle più importanti gallerie d'arte private.
Non era sicuramente una persona modesta che passava inosservata, se le ruote delle sue carrozze avevano i cerchioni ricoperti d'argento! Il Senato dovette richiamarlo perché certi sfarzi che esibiva potevano essere consentiti solo agli ambasciatori della Repubblica e solamente «...per maggiore gloria dello Stato».
Possedeva inoltre ville in provincia di Treviso ed un magnifico palazzo a Venezia costruito dall'architetto Andrea Tirali sul luogo dove esisteva una costruzione cinquecentesca.
Manfrin aveva trasformato il palazzo in una vera e propria galleria d'arte privata, una vera magnifica pinacoteca. Vi facevano parte opere del Tiziano («Deposizione»), di Andrea del Sarto, del Perugino, del Veronese, del Mantegna («San Giorgio»), del Previtali, del Basaiti, di Domenico Veneziano, di Nicoletto Semitecolo, di Jacobello del Fiore, del Carpaccio («La partenza di Ceice» ora alla National Gallery di Londra), di Cima da Conegliano («Madonna»), del Lotto, Giorgione (la famosa «La Tempesta» e «La Vecchia»), di Michelangelo, di Canaletto (sette opere), del Tintoretto, di Guido Reni («Apollo e Marsia»), di Gentile Bellini («Laura»)... l'elenco veramente potrebbe continuare a dismisura dal momento che non c'è importante museo che non accolga opere provenienti dalla collezione di Manfrin, definita «la più cospicua Galleria particolare che vanti la città», che fu posta in vendita a più riprese alla fine della dominazione austriaca, durante il Regno d'Italia, dopo che molti pezzi erano stati già venduti in precedenza.
 
Il catalogo di una sessione di vendita di opere della "Galleria Manfrin" tenutasi nel maggio 1897: nell'elenco figura, tra l'altro, Tiziano.
 
Per i suoi acquisti il Manfrin si era avvalso della collaborazione di Pietro Edwards, grande conoscitore del patrimonio artistico veneziano, ispettore delle Belle Arti e segretario perpetuo dell'Accademia (e successivamente alla caduta della Repubblica di Venezia funzionario sempre bene in vista presso i vari regimi succedutisi).
Ottenere l'appalto generale a Venezia, in quegli anni, significava un sicuro affare, ed i prezzi, durante l'asta per l'aggiudicazione, salivano alle stelle: il 10 maggio 1769, ad esempio,Francesco Marchetti aveva offerto, per ottenere l'appalto del dazio di consumo e d'uscita del tabacco per la durata di cinque anni, l'astronomica cifra di due milioni e 352.715 Ducati, oltre ai consueti 100.000 Ducati di cauzione. Fare i conti è un po' difficile, ma possiamo considerare che la somma equivaleva grosso modo a quasi 5 milioni di euro: una cifra davvero enorme se si considera anche la minor circolazione di denaro dell'epoca.
  Il marchese Manfrin doveva tutta la sua fortuna non solo alla sua astuzia di mercante, ma soprattutto alla sua indiscutibile lungimiranza: si era reso conto che la sistematica importazione di tabacco dall'Albania e dalla Turchia non era abbastanza remunerativa. Il prezzo era infatti stabilito da questo o quel Pascià ed i rifornimenti avvenivano spesso in modo discontinuo a causa dei rapporti non sempre tranquilli tra Venezia ed i Turchi, ed a causa delle condizioni del mare che potevano far naufragare le navi: nel 1772, ad esempio, naufragò una nave che trasportava 784 balle di tabacco. Con un proclama del 12 febbraio di quello stesso anno venne pertanto ordinato che «...chiunque ritrovasse o in poca o in molta quantità (...) tabacco disperso dalla sofferta burrasca, debba immediatamente consegnarlo o farlo consegnare nel pubblico Magazzino del partito posto a San Samuele al traghetto di Ca' Garzoni.» Costui avrebbe ricevuto una adeguata ricompensa.
Girolamo Manfrin oltre a rendersi conto che Venezia non poteva continuare a dipendere dai commerci con i Turchi per rifornirsi di tabacco, aveva anche osservato che la produzione interna era scarsa, e pertanto insufficiente a soddisfare le esigenze dei consumatori basti pensare che il tabacco di qualità «Campese» era coltivato in soli 47 campi.
Così il Manfrin, dopo aver ottenuto l'appalto del tabacco nel 1777, propose al Senato Veneto di costruire una grande fabbrica di tabacco a Nona, in Dalmazia, che avrebbe lavorato il tabacco coltivato in 1.100 ettari di terreno, sufficiente per le esigenze della Repubblica.
L'idea piacque ai senatori, anche perché in quegli anni Venezia aveva acquisito, a seguito della pace appena conclusa con i Turchi, vasti terreni, che in parte aveva diviso tra i Morlacchi, cui seguì la bonifica della campagna d'Imoski. Aveva quindi dato sviluppo all'agricoltura fondando delle Accademie agrarie, introducendo la coltura degli ulivi e della manna, ponendo tutta la Dalmazia sotto il controllo di un Ispettore agrario.
Così la Repubblica contribuì anche alla costruzione della fabbrica del tabacco con considerevoli sovvenzioni, incaricando il proprio ispettore agrario, il conte Antonio Michieli Vitturi Rados di Traù (l'attuale Trogir, in Croazia) di seguire il procedere dei lavori. La fabbrica di Nona iniziò a funzionare attorno al 1785 ed il conte Michieli Vitturi Rados sovrintese alla coltivazione del tabacco.
   
   
Prezzi di vendita al minuto dei tabacchi a Bergamo nel 1786: Girolamo Manfrin sostituisce il leone di san Marco con il proprio monogramma.
Il conte Antonio Michieli Vitturi Rados (1752-1822) era probabilmente la persona giusta per Girolamo Manfrin. In pratica condusse la fabbrica in modo dinamico e moderno, fino a farle raggiungere una produzione di 150.000 libbre di tabacco. Non puntò soltanto sulla quantità del tabacco, ma anche sulla qualità. Infatti faceva prelevare dalla produzione dei campioni di tabacco che venivano esaminati da un collegio di sei periti presieduto da lui stesso: sulla bontà del tabacco il collegio stendeva un rapporto e sopra di esso i periti giuravano per confortare con il giuramento la veridicità del rapporto.
Per essere certi della igienicità del prodotto, il conte Rados fece emanare il 18 maggio 1786 un proclama che fu redatto in due lingue: «...in favella italiana con la traduzione (a fronte) in favella illirica...», affinché fosse perfettamente compreso da tutti. Il proclama stabiliva i requisiti che dovevano possedere le persone che venivano impiegate nella coltivazione dei tabacchi nei terreni in Dalmazia di Girolamo Manfrin e nella fabbrica di Nona. Particolare rilievo era dato ai requisiti igienici, tra i quali spiccava il fatto che tali persone dovevano lavarsi completamente con acqua e soda almeno ogni due settimane (il che non era poco, se si pensa a quelle che erano le condizioni igieniche del tempo).
Quando il conte Rados lasciò l'incarico ricevette per riconoscenza una medaglia d'oro commemorativa, recante la seguente iscrizione in latino:
 
RADOS
ANT: CO: MICH: VITTURI
GEORGOFILO
SOLERTI PERLUSTRATIONE
IN NICOTIANUM CULTUM
AC NONAE
OPTIME CONFECTA
S: C=
MDCCXCI
 
Nel 1792, dopo cioè che Girolamo Manfrin teneva ininterrottamente la condotta da 15 anni, la finanza pubblica dei tabacchi era aumentata del 178%.
La genialità di Girolamo Manfrin non si manifestò solamente attraversa la costruzione di questa fabbrica di tabacco, ma anche industrializzando e ponendo su nuove basi il commercio del tabacco, del quale era diventato assoluto monopolista. Tutta questa nutrita schiera di appaltatori, subappaltatori e affittuali che abbiamo visto lavorare nella distribuzione del tabacco, ormai lavorava alle dipendenze dell'organizzazione di vendita di Girolamo Manfrin.
Una delle novità più importanti introdotta da Manfrin fu quella di stabilire lui stesso i prezzi di vendita del tabacco, non rimettendoli più alla decisione delle autorità delle varie città. A riprova a sinistra è riprodotto uno dei listini di vendita al minuto del tabacco, fatto pubblicare da Girolamo Manfrin, il cui monogramma con le iniziali intrecciate ha preso il posto del Leone di San Marco in alto del foglio.
Manfrin inoltre pose degli obblighi a carico dei venditori di tabacco ; si possono dedurre da un documento del 1777 intitolato appunto «Condizioni ed obblighi dei venditori»:
«I. Ogni Agente venditore di Tabacco per conto dell'Impresa generale dovrà prima del cominciamento di Sua Amministrazione per cautela del suo maneggio depositare Ducati 150 effettivi alla cassa dell'Impresa senza prò...». In sostanza il primo punto stabiliva che ogni agente che vendeva il tabacco per conto dell'Impresario doveva, prima di iniziare il commercio, fare un deposito infruttifero («senza prò») di 150 Ducati effettivi (cioè in contanti) a titolo di cauzione.
Prezzi di vendita al minuto dei tabacchi a Mestre: l'aquila bicipite asburgica ha preso il posto del leone di San Marco.
Riassumendo gli altri punti, questi stabilivano:
2) L'agente venditore aveva diritto ad un certo salario, da stabilirsi in relazione all'importanza della sua bottega.
3) L'agente doveva osservare l'orario di apertura e di chiusura della bottega, stabilito dall'Impresario. Gli orari erano fissati mese per mese, in relazione alle stagioni.
4) Il venditore doveva osservare i prezzi di vendita stabiliti, che doveva tenere appesi in negozio.
5) Il negoziante non poteva né bagnare i tabacchi per aumentare artificiosamente il peso, né mescolarli con altri.
6) Non poteva alterare i pesi.
7) Il negoziante doveva vendere esclusivamente le pipe di gesso che venivano consegnate dall'Impresario: «Venderà le Pippe di Gesso, che dall'Impresa, e non da altri le saran consegnate, e all'Anno avrà il Dieci per Cento di benefizio meno però il Dieci per Cento per le rotte» ossia veniva detratto il 10% del costo di quelle che andavano rotte.
8) Non poteva vendere carte da gioco; per venderle aveva bisogno del permesso dell'Impresario.
9) Ogni mese il venditore doveva predisporre il bilancio della sua gestione; tuttavia l'Impresario poteva ordinarlo straordinariamente in qualsiasi altro momento, cosicché i registri dovevano essere tenuti in perfetta regola e sempre aggiornati.
10) Se il negoziante incassava denari falsi, ne rispondeva personalmente subendone lui il danno relativo.
11) Se il venditore veniva meno anche ad uno solo di questi obblighi, avrebbe perso il deposito cauzionale di 150 Ducati, veniva deposto dall'impiego e sarebbe stato assoggettato alla legge penale.
 
 
Questi erano i principali obblighi che Manfrin aveva posto a carico dei venditori nei contratti che con loro stipulava. Obblighi che erano piuttosto pesanti e severi. Merita particolare attenzione quello contenuto nel settimo paragrafo: il negoziante poteva vendere solo le pipe di gesso che venivano distribuite dall'Impresario e non altre. Il Manfrin cercava quindi di allargare il proprio giro d'affari accaparrandosi anche il monopolio della vendita delle pipe.
Naturalmente esistevano altri obblighi che venivano stabiliti di volta in volta; ad esempio, a differenza di quanto avveniva negli anni precedenti, con l'Impresa Manfrin il bottegaio non poteva più lavorare il tabacco, cioè pestarlo, macinarlo, mischiarlo o prepararlo con gli aromi, ma doveva venderlo così come gli arrivava, in quanto era già stato lavorato nella fabbrica di Nona. Poteva solo aromatizzarlo, ma per far questo aveva bisogno del permesso dell'Impresario.
L'Impresa del tabacco di Girolamo Manfrin si concluse il 17 ottobre 1797, quando la Repubblica di Venezia si spense, a seguito del trattato di Campoformido.
Nei manifesti con esposti i prezzi di vendita dei tabacchi altri stemmi prenderanno il posto del leone di San Marco.
A margine è da citare una curiosità.
Più volte si trova citato il divieto di «...vendere il tabacco in cartoline» che, in un esposto dei Partitanti del tabacco ai Cinque Savi alla Mercanzia del 16 dicembre 1702, è citato come «l'abuso delle cartoline».
Nei capitoli sul tabacco del 29 settembre 1784 si trova scritto: «Non potrà qualunque persona sia di che grado e condizione esser si voglia, macinar e pestar, vender e far vendere, in poca o in molta quantità in cartoline, o in qualsiasi altro modo, qualunque sorta di Tabacco...». Che cosa era dunque questo «tabacco in cartoline»? Cartoline, nel vecchio dialetto veneziano, aveva lo stesso significato di "cartina", cioè di piccola carta. Forse si voleva vietare la vendita del tabacco incartato? Non è credibile: in primo luogo il tabacco era venduto, dopo essere stato pesato, incartato in un cartoccio, ed in secondo luogo veniva usato in questo caso un altro termine, «scartozzo» (o anche «sacheto»), che significa appunto cartoccio, sacchetto. Qui invece si parla espressamente di «tabacco in cartoline», cioè in cartine.
L'interpretazione più logica è che ci si volesse riferire alle sigarette (le cartine delle sigarette). La cosa non dovrebbe stupire, anche se la tradizione fissa la nascita della sigaretta nel 1831, durante l'assedio di San Giovanni d'Acri (l'attuale Akka, in Israele) da parte di Ibrāhīm Pashā: i soldati musulmani assedianti, in mancanza di pipe, avrebbero escogitato il sistema di avvolgere il tabacco nelle cartine di carta sottile che contenevano la polvere da sparo.
Ma è anche vero che già in precedenza in Europa c'era chi fumava il tabacco in primitive sigarette, chiamate, secondo le lingue, «papelitos» o «sigaritos». Giacomo Casanova nella «Histoire de ma vie» racconta di aver incontrato in Spagna un fumatore di «sigaritos», fatti di tabacco del Brasile avvolto in un foglietto di carta sottile. E siamo ben prima dell'assedio di San Giovanni d'Acri.
Certo che se a Venezia era vietato fumare il «tabacco in cartoline», si potrebbe pensare che a quel tempo i veneziani fossero tutti fiutatori di tabacco o pipaioli!
 
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Pagina aggiornata il 19 novembre 2017.