Una passeggiata per Venezia fa
scoprire elementi architettonici inaspettati; e magari anche una strana
unità di misura.
Barbacani in campo San Stin.
In una città dove ogni metro di
terra è stato strappato all'acqua, lo spazio per poter costruire è
prezioso. La necessità stimola l'ingegno, ed è proprio per la
scarsità del terreno edificabile (e quindi per il suo alto valore commerciale) che
in altre parti del mondo sono nati i grattacieli. Veramente il
"costruire in altezza" per sfruttare il poco spazio è stato
usato anche a Venezia, seppure in maniera limitata. Si tratta di alcune
case costruite nella ristretta insula del Ghetto che si sono
sviluppate fino a sette piani, cosa del tutto inconsueta per la città.
Certo, non si tratta di piani "normali", paragonabili a quelli
dei ricchi palazzi e delle dimore patrizie: sono piani angusti, con
soffitti bassi e finestre piccole; più di tanto non si poteva salire in
altezza, per la delicata configurazione del suolo della città. Ma
altri furono gli artifici adoperati per "rubare" spazio e tra
questi figurano i barbacani.
Con il termine barbacane si indica in generale un qualsiasi rinforzo delle
opere di architettura militare. Possono essere delle opere fortificate in
posizione avanzata, un munimento difensivo posto nel fossato esterno per
proteggere la base di un bastione, poteva essere una complessa opera
difensiva a forma di ferro di cavallo davanti alle porte composta da
torrioni raccordati da mura e munite di feritoie; ma potevano essere anche
delle aperture oblunghe verticali fatte sui muri di un castello o di una
fortezza per poter tirare sul nemico stando al riparo. Infine anche
aperture per favorire semplicemente lo scolo delle acque, come anche i
rinforzi che a volte si fanno nella parte inferiore di un muro per
sostegno.
L'etimologia della parola è molto incerta e controversa.
In francese è detto "barbacane", in spagnolo "barbacana", in portoghese
"barbacâo".
La derivazione sarebbe dall'anglosassone "barge-kenning"
composto dal tedesco "bërgen" (coprire, mettere al sicuro, da cui anche
"bërg-frid", torre di guardia) e da "kenning"
(vista, da "ken" scorgere, vedere, da cui deriva anche il
tedesco "kennen", conoscere).
Questa etimologia è collegata al significato di un luogo difeso con vedette.
Il Devic tuttavia accosterebbe la parola all'arabo "barbakh"
(una galleria che serve di bastione ad una porta) che unito all'etimo
persiano "khaneh" (casa) avrebbe dato la voce
"barbacane": sempre che "khaneh" non possa
invece essere solo una desinenza.
Il Wedgwood propone come origine il persiano "bâlâ-khanech"
(da cui deriverebbe anche la parola "balcone") con il
significato di una stanza sull'alto della casa a scopo di guardia.
Comunque sia a Venezia i barbacani sono chiamati quelle sporgenze delle
mura delle case, in genere poste tra il piano terra ed il primo, ricavate
dalle travature del solaio che sporgono oltre il perimetro del muro del
piano terra.
In questo modo abbiamo il pavimento del primo piano che sporge oltre il
perimetro delle fondazioni della casa con la conseguenza che il primo
piano, ed i piani superiori, avranno una superficie maggiore di quella
della base dell'abitazione.
Nella sua veduta
prospettica "a volo d'uccello" di Venezia (xilografia su sei
tavole di legno di pero) Jacopo de' Barbari fu attento e fedele
osservatore di dettagli anche minuti. Nel particolare riprodotto
a sinistra si vede un palazzetto rinascimentale prospiciente il rio di
S. Toma', all'angolo con la calle del Magazen, con tre piani che sporgono
dal piano terra sorretti da un ordine di barbacani. I quattro pali
in legno sono conficcati sulla riva del canale, per agevolare
l'ormeggio delle barche.
Il "quinto palo" a destra altro non è che una guglietta
della Basilica dei Frari che in prospettiva si frappone alla scena.
La palazzina tardo
quattrocentesca con i barbacani disegnata dal de' Barbari esiste
ancora, e la vediamo qui sulla destra. Non è più affacciata sul canale che è stato interrato:
infatti si trova in rio terà S. Toma' (dove "rio terà"
sta per rio interrato).
Ancora barbacani nella veduta cinquecentesca del de'
Barbari. Qui sopra i barbacani separano il piano superiore di un
edificio dal piano terra a botteghe in calle lunga S. Maria Formosa.
Barbacani
dietro a San Marco, in un palazzetto nell'area
di San Zulian, che anche oggi conserva parecchi edifici con questa
caratteristica architettonica.
Antichi
edifici con barbacani che dividono il primo piano, originariamente
adibito ad abitazione, dal piano terra con le botteghe dei mercanti. Siamo
nella zona di San Zulian, appena dietro San Marco, in campiello del
Piovan (o de San Zulian).
Barbacani in un'abitazione in
campiello dei Meloni, vicino a San Polo: accanto ai barbacani in legno,
altri sono in pietra per dare maggiore solidità all'impianto edilizio.
In molti casi, per dare maggior solidità e robustezza alle travi in
legno, i barbacani sono rinforzati da mensole aggettanti in pietra che scaricano
parte del peso dei manufatti sovrastanti.
Non dobbiamo comunque escludere che nel nome barbacane sia rimasto un ricordo
del termine militare.
Non sarebbe l'unico caso: pensiamo ai pinnacoli traforati in marmo che
sovrastano il palazzo Ducale, molti palazzi veneziani (Ca' d'Oro, ad
esempio) e persino semplici mura di cinta. Altro non sono che una
trasformazione dei merli posti sulla sommità delle mura di fortificazione
di un qualsiasi castello ed oggi sono chiamati anche merli moreschi, o
veneziani.
In alto e qui sopra barbacani in calle della Madonna, a Rialto.
Dobbiamo pensare che la viabilità principale di Venezia è sempre
stata quella acquea: verso l'acqua ci sono le facciate più importanti e
più imponenti dei palazzi, verso l'acqua è sempre stato l'ingresso
principale della casa.
Gli spazi di terreno liberi erano inizialmente considerati come degli
spazi privati, dei cortili interni, quasi il prolungamento delle
abitazioni.
Siamo in un'epoca in cui ancora non esistevano tutti i ponti cui siamo
abituati oggi: da un'insula all'altra ci si spostava con una barca,
ogni insula poi era autonoma rispetto alle altre: aveva il suo
pozzo per l'acqua, la chiesa, la propria viabilità pedonale. Ecco allora
che proprio nel momento in cui si comincia a pensare di unire, per maggior
comodità, le insule tra di loro con ponti, molti di questi nascono
storti (e si chiamano ancora oggi proprio così, "ponte
storto"), cioè costruiti di traverso sul canale: infatti non sempre
la viabilità pedonale di un'insula coincideva con quella dell'insula
adiacente.
La viabilità pedonale cominciava a diventare più rilevante.
E non solo quella pedonale.
Dobbiamo ricordarci che a Venezia si poteva girare anche a cavallo.
Le calli pertanto non potevano essere troppo anguste e doveva essere
lasciata un'opportuna ampiezza per il pedone e per il cavaliere.
Chi costruiva faceva quindi sempre più ricorso all'impiego dei barbacani
per cercare di ampliare un po' la superficie dei piani superiori delle
case lasciando inalterata l'ampiezza del suolo pubblico.
Le case, ai piani alti, rischiavano così di essere molto addossate le une alle altre,
e questo comportava dei problemi.
Qui a sinistra una palazzina
a Capodistria, che fece parte della Repubblica di Venezia dal 1279
al 1797. I veneziani vi lasciarono molte tracce architettoniche
della loro presenza. La decorazione del muro non deve stupire.
Anche questa era un'usanza veneziana che voleva le facciate delle
case affrescate con vari motivi, figurativi o geometrici. Di
questi affreschi, e di questo particolare motivo geometrico a
losanghe, troviamo traccia anche nella veduta del de' Barbari, come
in questo edificio sul Canal Grande, oggi palazzo Michiel "dal
brusà".
Qui sotto, al
centro, un particolare del "Miracolo della reliquia della Santa
Croce in campo San Lio" che Giovanni Mansueti dipinse
probabilmente nel 1494: si nota la palazzina con l'affresco a motivo
geometrico che esiste ancora, anche se non ci sono più tracce della
pittura sulla facciata. Una scenografia fantastica è quella che
ha usato Tiziano per ambientare nel 1539 la "Presentazione
della Vergine al Tempio" (sotto a destra); fantastica ma evidentemente ispirata
all'architettura veneziana. Sul Palazzo che fa da sfondo è
riproposta la facciata con il disegno a losanghe.
A ben vedere tutti
questi motivi geometrici che abbiamo visto si rifanno ad un unico e
più autorevole palazzo: il palazzo Ducale che presenta sulle
facciate il disegno a losanghe, non affrescato, ma realizzato
utilizzando l'alternanza di marmi policromi (a sinistra).
Una casa con barbacani in campo San
Stin, all'angolo con calle Donà o dello Spezier.
Non era un problema di privacy, quello di avere le finestre che si
fronteggiavano vicine, era piuttosto un problema di sicurezza: in caso di
incendio questo poteva propagarsi di casa in casa con maggiore facilità e
con forza devastante.
Nel 1105 ad esempio «...uscì fuoco dalla casa
d'Arrigo Dandolo, ovvero Zeno, a SS. Apostoli, e fu sì grande che
abbucciò molte contrade ed abbrucciò tutta la detta contrada, e con
furia di vento passò il Canal grande, et abbrucciò San Cassiano, S.
Maria Mater Domini, S. Agata, S. Agostino e S. Stefano confesore.»
E solo mezzo secolo dopo «...uscì fuoco casualmente da la contrà de
santa m. mater domini, et la bruzò tuta; poi andò a S. Stai, S. Stin,
santo Agustin, S. Boldo, S. Jacopo de luprio, san Zan degolado, santa
Croxe, S. Simeon Profeta, S. Simeon Apostolo, S. Baxegio, san Nicolò dei
Mendigoli, et san Raffael, et bruxò in Venezia assai caxe.»
Gli incendi si susseguono e nel 1514 «...in detta ora entrò il fuoco
in Rialto dalla banda della Cordaria, et bruciò tutto il Rialto, eccetto
la chiesa di S. Giacomo et i Camerlenghi, e durò l'incendio tutta la
notte, e molto del giorno seguente, et arrivò sino a S. Silvestro, e
bruciò tutti gli Uffizi et il fondaco della Farina, e la chiesa di S.
Giovanni, e se non fosse stato spento dalla Maestranza dell'Arsenale, era
andato fino a S. Aponale, e saria andato fino a S. Polo. Il quale incendio
fu di tanto danno che tutte le rovine già avute da quindici anni pareano
nulla, imperciocché, oltre che si persero molti libri pubblici, e denari,
e robe di mercadanti...».
Barbacani in calle de l'Anzolo, che
immette nel campo delle Beccarie (macellerie) a Rialto. Un'antica colonna è stata
riutilizzata per rinforzare l'angolo di una casa.
E se qualcuno conosce questi luoghi, sa benissimo che ognuno di questi incendi,
per quanto le cronache possano aver ingigantito i fatti, coinvolse ogni
volta almeno un quarto della città.
Ecco quindi che non erano visti di buon occhio questi barbacani che
ravvicinavano troppo le case le une alle altre.
Ma era anche questione di salute pubblica.
Le calli non erano lastricate, ma semplicemente di terra battuta. Anche
quando non pioveva erano spesso sempre infangate, e non era solo per moda
che le dame veneziane portavano i "calcagnetti", quelle
calzature altissime, ma soprattutto per necessità: per non infangarsi e
limitare i danni alle vesti quando uscivano in strada.
Calli infangate, rivoli di liquami maleodoranti, il luogo ideale per il
prolificare di germi e batteri portatori di ogni malattia.
Il "padre" di tutti i barbacani: il barbacane-campione in pietra
in calle della Madonna a Rialto, prospiciente riva del Vin.
I barbacani mantenevano inalterata la larghezza delle calli, ma le
stringevano in alto, verso il cielo, là da dove poteva battere il sole ad
asciugare un po' quell'ambiente poco salubre. Si sa, dove entra il sole
non entra il dottore!
Se i barbacani si sporgevano troppo, inevitabilmente le già strette calli
sarebbero diventate ancora più fetide e buie.
Bisognava mettere un limite affinché le case mantenessero una certa
distanza le une con le altre anche ai piani alti. Bisognava, in altre
parole, porre un limite ai barbacani.
Fu così che venne stabilita una misura massima, oltre la quale i
barbacani non potevano andare.
Affinché questa misura fosse conosciuta e vista da tutti, in calle della
Madonna, a Rialto, verso la riva del Vin, in posizione ben evidente, fu
sistemato un barbacane in pietra, il barbacane-campione, con sopra inciso
«PER LA IVRIDICIOM DI BARBACANI».
E' quello che io chiamo scherzosamente il "padre" di tutti i
barbacani.