Trekking tra i Dogon e navigazione sul Niger

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Bamako
(arrivo)
Da Bamako a Mopti Bandiagara, Kani Kombole
(trekking)
Teli, Enndé, Guimini
Yawa, Dourou (trekking)
Sokolo, Djenné
da Nombori a Banani
(trekking)
Da Banani a Sanga
(trekking)
Da Mopti a Kabara
(navigazione)
Timbuctù Da Timbuctù a Mopti
Bamako, Dakkar (ritorno)
 
  
Viaggio effettuato nel dicembre 1982 - gennaio 1983
 
   
Ci si imbarca sulla "pinasse" al porto fluviale di Mopti.
L'essere andati a dormire presto ci fa trovare in piedi, svegli, al mattino altrettanto presto.
Non sono neppure le otto quando siamo già in viaggio per Mopti dove arriviamo attorno alle nove e mezza. A distanza di una settimana torniamo alla missione cattolica.
Dopo aver ripulito e riordinato i bagagli e dopo aver fatto anche il bucato, finalmente riusciamo a farci una doccia, dopo tanti giorni di polvere e sudore!
Sicuramente siamo più presentabili e meno puzzolenti!
Ci dividiamo i compiti: ci sarà chi provvederà alle spese per i prossimi giorni e chi, soprattutto, deve cercare una pinasse sulla quale imbarcarci per intraprendere la navigazione del fiume Niger fino a Timbuctù.
Nonostante l'appuntamento sia, per tutti, per questa sera sulla terrazza del "Restaurant Bozo", affacciata sul Niger, durante la giornata ci incrociamo e ci aggiorniamo sulle novità. Infatti tutta la vita si svolge attorno al porto fluviale: è qui che c'è il mercato per fare le spese ed è qui che approdano le lunghe pinasses che trasportano uomini e mercanzie per quella specie di strada carovaniera che è il fiume Niger.
Troviamo anche il tempo per fare qualche acquisto per noi al mercato e per aggiungere altre foto di colore a quelle che avevamo scattato qui una settimana fa.
Siamo tutti in anticipo  sull'orario che ci eravamo dati sulla terrazza del ristorante: possiamo contemplare un altro tramonto del sole sul fiume Niger che è proprio di fronte a noi, gustando il mitico pesce capitaines.
Il giorno dopo, con i nostri bagagli in ordine e dopo un'altra doccia (quando c'è la possibilità di lavarsi è da farlo sempre perché non sappiamo quando si presenterà la prossima opportunità) raggiungiamo il porto fluviale.
Il pilota al suo posto di guida a prua della "pinasse".
Cerchiamo di individuare la nostra barca tra le decine di pinasses che sono ormeggiate per scaricare e caricare mercanzie.
Alla fine troviamo la nostra e saliamo a bordo.
Questa barca diventerà, in un certo senso, la nostra casa per i prossimi quattro giorni. Per il ritorno si vedrà: si potrebbe tentare di faro via terra, ma dipenderà dallo stato delle piste, oppure via fiume cercando un'altra imbarcazione che risalga il Niger.
La pinasse (pinaccia o pinazza in italiano) qui in Mali è una barca lunga circa venticinque metri, forse più, a fondo piatto, adatto a stivare merci. La prua e la poppa sono molto allungate sopra il pelo dell'acqua e terminano a punta riprendendo la forma e lo stile delle più piccole piroghe dei pescatori bozo.
A poppa in genere è posto il castelletto che nella nostra è fatto di legno e lamiera; a prua c'è il posto di guida del pilota, in posizione molto avanzata.
La ruota del timone, molto semplice, costruita in ferro, è collegata d un meccanismo attorno al quale è avvolta la catena che, passando lungo le due fiancate, è agganciata al timone di poppa. In questo modo, molto semplicemente, il pilota riesce a dare la giusta direzione.
Quasi l'intero scafo è protetto da una copertura di stuoie; nel nostro caso è stato aggiunto anche un telone che dovrebbe proteggerci in caso di pioggia.
Vita a bordo della "pinasse" seduti sui sacchi di riso.
Alcuni schizzi con misure della "pinasse" sulla quale navigavamo eseguiti durante i lunghi momenti di navigazione nell'ipotesi che, una volta tornato a casa, mi fosse venuta la voglia di fare un modellino di "pinasse" del Niger.
 
Oltre ad alcune casse di legno ed a vari involti contenenti stoffe, tele e stuoie, il nostro carico è costituito soprattutto da acch di riso sui quali campeggia la scritta «Don de la République Française à la République du Mali. Pas à vendre».
Quello che sembra essere il capitano ci assegna una zona della barca, la parte centrale fino a poppa, proprio tra i sacchi di riso.
Cerchiamo di sistemarci ricavando i nostri spazi vitali e spostando i sacchi in modo che ci possano servire anche da giaciglio per la notte.
Capanne dei pescatori bozo lungo le sponde del Niger.
L'equipaggio è composto in tutto da tre persone, tra cui un ragazzo che immediatamente soprannominiamo Six, cioè "sei", per una sua particolare caratteristica anatomica della quale ci accorgiamo quasi subito: ha sei dita in ciascuna mano e sei dita anche ai piedi!
Si tratta di un secondo mignolo, un po' meno sviluppato dell'altro, ma ciononostante molto evidente, completo di unghia. Una curiosa malformazione genetica chiamata polidattilia della quale avevo sentito parlare ma che non avevo mai visto.
 
I piedi di "Six", il giovane marinaio colpito da polidattilia.
 
Oltre a noi viaggia un altro paio di passeggeri.
Alle 10.15 la nostra pinasse lascia il porto fluviale di Mopti ed inizia così la nostra navigazione lungo il Niger.
Rivediamo Mopti dal lato del fiume, il suo brulicare di attività sulle rive, l'andirivieni di barche e le piroghe dei pescatori bozo.
Poi resta solo il fiume.
Le rive sono relativamente alte come una muraglia, per cui non è possibile vedere al di là dove c'è la pianura.
Ce ne rediamo conto per un curioso episodio che ci capita durante la navigazione. Ogni tanto la pinasse accosta per consentire delle soste "fisiologiche".
Accostando a riva dobbiamo inerpicarci per la ripida alta sponda del fiume per cercare poi un albero, un cespuglio, dietro al quale appartarci.
E' in questo modo che ci capita di scoprire che oltre non c'è nulla, neppure un filo d'erba che ci ripari! Siamo costretti così, su una piana nuda e spoglia, allontanarci a ventaglio gli uni dagli altri di qualche centinaio di metri per trovare una relativa intimità!
Le "pinasses" accostano al riparo della riva all'ingresso del lago Débo in attesa che cali il forte vento.
Passano alcun piccoli villaggi, agglomerati di poche abitazioni fatte di legno e stuoie: sono quelle dei pescatori bozo.
Scendiamo a riva: in recinti fatti di canne sono distesi ordinatamente pesci che vengono essiccati al sole e, una volta pronti, saranno venduti al mercato.
 
Per la conservazione, il pesce viene essiccato al sole dalle famiglie dei pescatori bozo che poi lo venderanno nei mercati.
 
La navigazione procede a rilento, costantemente ostacolata da un forte vento contrario che muove notevolmente le acque.
Siamo in evidente ritardo sulla tabella di marcia: al sopraggiungere del buio il pilota decide di accostare alla riva, dove trascorreremo la notte.
Con il nuovo giorno non migliora la situazione del vento. Oggi dovremo affrontare l'attraversamento del lago Débo.
Il Niger è un fiume curioso: lungo 4.170 chilometri, è il terzo fiume dell'Africa dopo il Nilo ed il Congo.
Il suo percorso è simile ad una "U" rovesciata: nasce dagli altopiani tropicali ai confini della Sierra Leone e della Guinea, a trecento chilometri dall'Oceano Atlantico. Tuttavia prende la direzione opposta inoltrandosi nel continente africano verso nord-est, attraversando la Guinea ed il Mali.
Dopo Massina comincia a ramificarsi e da Mopti, con la confluenza del Bani, forma il delta interno, un complesso sistema idrico di bracci principali e secondari, di affluenti e di defluenti, di laghi, alcuni anche sotterranei, con maree e banchi di sabbia affioranti.
Dopo il lago Débo si divide in tre rami principali, l'Issa Ber, il Barra Issa ed il Koli Koli.
Appena sotto Timbuctù piega decisamente a est, poi verso Bourem si dirige a sud-est.
Questa frattura improvvisa che dà origine allo strano percorso del fiume ad "U" rovesciata, chiamato anche boucle du Niger, si può spiegare con l'esistenza di un doppio Niger: un Niger superiore, che i Bambara chiamano Djoliba, che percorre l'alveo dell'attuale Niger fino a Timbuctù, ed un Niger inferiore da Bourem verso sud fino a sfociare con un ampio delta nell'Oceano Atlantico, nel Golfo di Guinea.
Fino a quando i due fiumi funzionavano separatamente, il Djoliba alimentava un bacino chiuso, poco profondo, che si estendeva nella regione dell'Hodh a sud della Mauritania, in un sistema endoreico paragonabile a quello formato dal lago Ciad con i suoi emissari; lo prova l'esistenza di un delta fossile in questo bacino dell'Hodh. Inoltre un altro ramo del Djoliba, che si era separato dal fiume principale all'altezza dell'attuale città di Timbuctù dirigendosi a nord, aveva formato un'altra zona lacustre nell'Azaouad.
Il fatto è confermato anche dallo studio di rilievi fotografici aerei e satellitari che hanno messo in evidenza le tracce di un antico corso d'acqua che lasciano il Niger a tre chilometri a est di Kabara, in direzione nord, descrivendo numerosi meandri.
L'altro fiume che scende dall'Adrar degli Ifoghas (Adrar des Iforas) potrebbe aver avuto le sorgenti addirittura nell'Hoggar e da qui essersi diretto nella valle di Tilemsi prima di prendere l'attuale percorso verso l'oceano.
Sarebbe accaduto in un'epoca relativamente recente che i due fiumi (il Djoliba dalle attuali sorgenti alle regioni dell'Hodh e dell'Azaouad e quello forse dall'Hoggar, e comunque dall'Adrar degli Ifoghas, fino all'oceano) si sarebbero uniti.
Il Djoliba avrebbe fatto irruzione della valle di Tilemsi a seguito di un gigantesco straripamento, conseguenza di un particolare ciclo di piogge. Infatti nel Quaternario, epoca nella quale si colloca l'unione dei due fiumi, l'emisfero settentrionale viveva un periodo di periodiche glaciazioni mentre quello meridionale era soggetto a oscillazioni climatiche che vedevano l'alternarsi di fasi aride ad altre di piogge torrenziali ininterrotte.
Dovettero essere scene apocalittiche: il Djoliba in piena forzò il suolo roccioso di Tosaye (Taoussa) ed una volta innescato un effetto "sifone", questo produsse lo svuotamento delle zone paludose senza che nulla potesse arrestare il processo.
A tutto questo si deve aggiungere che altri episodi hanno giocato un ruolo importante nel mutamento della rete idrografica, quali le alterazioni di certe regioni sahariane e l'esistenza di alcuni fenomeni vulcanici più recenti.
Ecco spiegato perché oggi, sotto Timbuctù, il Niger ha questo inconsueto cambiamento di direzione. Dirigendosi a sud a Labbezanga entra nel Niger e ne segna un contestato confine con il Benin (ex Dahomey), passa successivamente in Nigeria dove prosegue sfociando finalmente con un ampio delta nell'Oceano Atlantico, dal quale si era allontanato 4.170 chilometri prima.
Noi nel frattempo, dopo che il Niger si era ristretto quasi fosse diventato un canale scavato tra alte e ripide rive, siamo arrivati in un punto dove il fiume si apre per formare quel vasto bacino d'acqua che è il lago Débo.
Il vento continua a soffiare forte in senso contrario portando con sé della finissima sabbia del deserto dalla quale è impossibile ripararci.
Il pilota accosta la pinasse su un sponda che ripara un po' dal vento, dove si sono ormeggiate anche altre imbarcazioni: siamo tutti in attesa che il vento perda un po' di forza.
Le "pinasses" che avevano atteso che calasse il vento si mettono in navigazione tutte assieme. L'acqua è ancora torbida ed il vento ha sollevato un pulviscolo di sabbia del deserto nell'aria.
Il lago Débo è a tutti gli effetti come un profondo mare interno che raggiunge anche i 45 chilometri di larghezza e, unitamente ad altri bacini secondari con i quali è collegato, gioca un ruolo importante nella regolazione e distribuzione delle acque di questo complesso sistema idrografico.
Dopo alcune ore il vento sembra aver perso un po' di forza ed il pilota decide di iniziare l'attraversamento del lago.
La decisione è presa assieme agli altri piloti delle altre pinasses che si mettono in movimento tutte assieme.
 
In navigazione sul lago Débo con le acque sferzate dal vento.
 
La superficie delle acque del lago continua ad essere agitata, ma almeno non si vedono più le onde di prima.
Navighiamo praticamente come in carovana, con altre pinasse avanti, dietro e lateralmente alla nostra, in gruppo. Non si vedono rive tutto attorno, ma solo una continua e monotona distesa d'acqua.
Non si può dire che la vita a bordo offra molte attrattive. Il maggior diversivo che abbiamo è quello di prepararci il pranzo e la cena.
Oggi ci dedichiamo ad un risotto che cerchiamo di fare a regola d'arte soffriggendo cipolle e poi cucinando lentamente il riso aggiungendo un brodo fatto con acqua del Niger nella quale avevamo sciolto il contenuto di qualche bustina di minestre pronte in polvere. C'è un po' di tutto: la crema di pomodori, la vellutata ai funghi porcini ed una crema di asparagi.
 
Vita di bordo: ai fornelli.
 
Gli altri passeggeri della pinasse restano molto incuriositi del nostro modo di preparare il risotto, che non conoscono; per loro il riso si fa semplicemente bollire ed alla fine, una volta scolato, si possono aggiungere altri ingredienti.
Qualcuno di noi aveva portato dall'Italia anche qualche bustina di formaggio parmigiano grattugiato: a fine cottura andrà a finire nel risotto per dare il tocco finale.
Offriamo un assaggio del nostro capolavoro culinario agli altri occasionali compagni di viaggio, ma non sapremo mai se i loro commenti di apprezzamento per il nostro risotto siano stati sinceri o solo formali, dettati dall'educazione! L'attesa di questa mattina che diminuisse il vento ci ha causato un considerevole ritardo su quella che doveva essere la tabella di marcia. Così il pilota decide di continuare la navigazione per tutta la notte.
E' buio pesto quando usciamo dal lago Débo e passiamo davanti ad Akka.
Nel frattempo noi ci ricaviamo i nostri giacigli tra i sacchi di riso mentre i due membri anziani dell'equipaggio si alternano al timone.
Alla mattina, mentre ci prepariamo vari caffè con i nostri fornelli e la classica moka italiana, gli altri passeggeri locali preparano il loro, con tutto un cerimoniale di travasi del liquido da un bricchetto all'altro: riescono a travasare il liquido tenendo lontano il bricco anche più di un metro dalla tazzina che riempiono senza spandere neppure una goccia. Quasi una piccola esibizione di abilità e di mira! Non è propriamente un caffè alla turca, piuttosto è preparato secondo il costume tuareg.
Oltrepassiamo Niafounké senza fermarci: il Niger adesso costeggia il deserto. Le rive sono basse ed ogni tanto, all'orizzonte, vediamo qualche grande duna.
Arriviamo all'altezza di Tonka, dove la barca si ferma per scaricare merci, far scendere passeggeri ed imbarcare altre merci e passeggeri.
Relitti di macchine agricole ridotti a scheletri alla periferia di Tonka.
Tonka è un villaggio dove sembra di essere fuori del mondo. E' in parte circondato da mura in mattoni crudi con degli edifici quadrangolari costruiti con la stessa tecnica: non hanno tetto, ma terminano con una terrazza piatta. Ci sono però anche molte abitazioni circolari costruite in legno e graticci, tipiche delle popolazioni nomadi del deserto, che non è lontano.
Nel breve tratto che separa la riva del Niger dal villaggio, vediamo nella sabbia gli scheletri arrugginiti di relitti di macchine agricole abbandonate chissà da quando.
 
Non solo case ma anche tende alla periferia di Tonka.
 
Di ritorno dal mercato di Tonka con una buona dose di equilibrio.
 
Oggi è domenica, il giorno in cui Tonka si anima per il suo mercato settimanale.
Abbiamo un po' di tempo da trascorrere a terra, prima di ripartire; è anche un'ottima scusa per guardarci attorno e sgranchirci le gambe dopo essere stati sempre in barca da ieri mattina.
Per raggiungere il mercato dobbiamo attraversare tutto il paese, perché esso si svolge sul lato opposto, appena fuori le mura.
Le strutture sono quasi del tutto assenti: chi ha da vendere qualcosa, se vuole, stende una stuoia per terra sulla quale dispone la mercanzia; oppure fa a meno anche della stuoia.
  
Vasi in terracotta al mercato domenicale di Tonka.
 
C'è molto vasellame in vendita, in terracotta, ed una relativa animazione.
Ritorniamo alla riva per ripartire.
Tra i nostri passeggeri imbarcati si è aggiunta anche una capretta: è stata sistemata a poppa, legata ad una corda, con un po' di rami verdi con cui cibarsi.
 
Tra i passeggeri della "pinasse" si è aggiunta anche questa capretta.
 
Verso il tramonto vediamo un enorme termitaio vicino alla riva del Niger
Il vento non è forte, ma viene dal deserto: in breve siamo nuovamente dentro una piccola tempesta di sabbia che si abbatte sul fiume. In certi momenti scompaiono alla vista le rive del fiume Niger.
 
Il vento solleva la polvere del deserto.
  
La giornata continua così, nella monotonia della vita di bordo che ci vede impegnati a preparare pranzi sul fornello, lavare le nostre stoviglie, mentre ogni tanto avvistiamo qualche piroga di pescatori, a volte sormontata da una vela triangolare.
Sulla bassa riva vediamo passare qualche raro albero e numerosi termitai: sono costruzioni ragguardevoli, alte anche tre o quattro metri. Sono i nostri "paraventi" quando scendiamo per le soste fisiologiche.
Verso sera c'è una breve fermata a Diré: qui c'è un check-point della polizia dove dobbiamo farci registrare. Così un'altra pagina del passaporto se ne va, con un'annotazione manoscritta: «Visto passare a Diré il 9.1.83. Per il Commissario di Polizia il capo dell'ufficio» alla quale segue una firma illeggibile, il tutto solennemente autenticato dal timbro del Commissariato di Diré.
Una casa di Danga.
 
 
Mentre a riva nel porticciolo pittoresco c'è il movimento di carico e scarico di merci, riusciamo ad avere il tempo per fare due passi per il paese: c'è la solita piccola moschea in argilla cruda e fango in stile sudanese con le solite uova di struzzo in cima alle guglie ed al minareto a forma di pan di zucchero. Il banco che la intonaca è di un vivace colore giallo arancio, ma la luce ormai è troppo poca per fare delle fotografie. Nonostante il buio, al di là del villaggio si intravede il deserto che incalza.
Si ritorna alla pinasse. Si naviga ancora per qualche ora nella notte, poi la barca accosta per il resto della nottata.
Non riusciamo a trovare le nostre posizioni nei giacigli che ci eravamo ricavate tra i sacchi di riso.
Scopriamo il motivo: sono spariti dei sacchi! Probabilmente sono stati scaricati durante le nostre soste a Tonka ed a Diré.
Dobbiamo quindi spostare alcuni di quelli che restano per trovare una posizione approssimativamente comoda nella quale dormire.
Si sta bene dentro i sacchi a pelo, perché durante la notte la temperatura si abbassa ed anche alla mattina, quando ci svegliamo molto presto, fa freddo. Possiamo vedere le ultime stelle in cielo che si spengono al sorgere del sole.
E' solo dopo qualche ora che il caldo comincia ad aumentare, con il sole che fa innalzare la temperatura.
Oggi la pinasse compie una tappa a Danga: siamo veramente nel deserto e viene da stupirci di come possa esistere questo villaggio di poche case, costruite in argilla cruda, con il deserto attorno.
 
A Danga non c'è un molo: per scendere a terra si deve trasbordare su una barchetta.
Il mercato del lunedì a Danga.
 
Pur essendovi il deserto, ogni tanto la pioggia deve arrivare anche qui, altrimenti non si spiegherebbero i vistosi doccioni che spuntano dai tetti degli edifici. Sono in terracotta e molto spesso sono decorati con dei motivi geometrici rossi.
 
Un doccione in terracotta con decorazioni geometriche in rosso.
 
La riva è bassa, non c'è un porticciolo attrezzato, così la barca deve restare discosta dalla terraferma di una decina di metri. Per scendere ci viene incontro una piroga che ci fa trasbordare per portarci a terra.
Inizialmente non comprendiamo il motivo della sosta, poi scopriamo che oggi, lunedì, è giorno di mercato.
Le dune deserto arrivano fino al Niger.
Non è un grande mercato, forse è più piccolo di quello che avevamo visto ieri a Tonka, ma è più animato.
Inoltre per la prima volta vediamo i Tuareg nei loro abiti blu tradizionali.
Tra le cose curiose, vediamo i venditori di sale. Si tratta di sale che proviene dalle miniere di Taoudenit, a settecento chilometri a nord di Timbuctù. Il sale si presenta in lastre che vengono tagliate con un segaccio in pani di diverse dimensioni.
 
Un venditore di sale taglia le lastre di sale in pezzi grandi come saponette.
 
Quello del sale è stato un commercio che fu alla base dei traffici delle grandi carovaniere che attraversavano il Sahara da nord a sud e continua a conservare una certa importanza.
Torniamo alla pinasse e proprio mentre facciamo lo stesso trasbordo di prima con la piccola piroga vediamo proprio vicino a noi un Martin Pescatore che svolazza sul pelo dell'acqua.
Il paesaggio è cambiato, diventa sempre più desertico.
Le dune arrivano fino al Niger ed ora i due piloti anziani della pinasse sono entrambi impegnati nella navigazione: uno sta al timone mentre l'altro, ritto in piedi a prua, scruta il fiume. Infatti ci sono dei banchi di sabbia sommersi che potrebbero insidiare la barca.
Nel pomeriggio arriviamo finalmente a Kabara che è il nome del porto fluviale di Timbuctù.
 
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Pagina aggiornata il 19 novembre 2017. Io ho fatto molti importanti viaggi con Avventure nel Mondo