Una
inedita lettera scritta il 12 ottobre 1866, pochi giorni prima della
liberazione di Verona, racconta tra l'euforia per il ritiro delle truppe
austroungariche quello che accadde nella tragica sera del 6 ottobre 1866.
Come sempre accade nelle guerre a morire non sono solo i soldati ma anche
gli inermi cittadini.
Siamo nell'ottobre 1866: ormai è in pieno atto la liberazione del Veneto e
del Mantovano dall'Austria e la sua successiva annessione al Regno d'Italia.
Dopo la pace con la Prussia (trattato di Praga del 24 agosto 1866) l'Austria
il 25 dello stesso mese stipulava una convenzione con la Francia per la
cessione del Veneto; a partire dal 31 agosto cominciarono a incontrarsi i
generali francesi e quelli austriaci per definire una "Convention
Special" che regolò in modo minuzioso, il 20 settembre 1866, il
ritiro degli austriaci dal Regno Lombardo Veneto (in pratica dal Veneto e
dal Mantovano) e la riconsegna dei territori.
Il 3 ottobre a Vienna viene finalmente firmata la pace tra l'Austria e l'Italia
ed inizia lo sgombero dell'esercito austriaco.
In questi giorni c'è un grande clima di aspettativa e di euforia tra le
popolazioni venete.
A Verona ci sono manifestazioni di giubilo mentre contemporaneamente, tra i
soldati austriaci, vi è rabbia e rassegnazione.
Anche per tutelare l'ordine pubblico viene costituita il 29 settembre la
Guardia Nazionale.
Nonostante gli appelli alla calma ed alla vigilanza emanati dal Podestà di
Verona, il 6 ottobre uno di questi momenti di tensione degenerano portando allo scoppio di
una violenta zuffa nella quale resta coinvolta una venticinquenne veronese
incinta, Carlotta Ascheri.
Raffigurazione
del tumulto che accadde a Verona la sera del 6 ottobre 1866, durante
il quale perse la vita Carlotta Aschieri, in una cartolina illustrata
edita a Verona da Oreste Onestinghel (da
"1866 La liberazione del Veneto" di Lorenzo Carra).
L'episodio è narrato anche in una lettera dell'8 ottobre 1866 diretta a
Trento.
La pubblica Lorenzo Carra nel suo lavoro "1866 La liberazione del
Veneto", Vaccari, Vignola 1998, da dove la traggo.
«...Oggi trovandomi in Verona venendo sulla via Nuova in ad un tratto a
chiudere i negozi, la moltitudine della gente a fuggire, gli militari
austriaci tutti fuori in armi, la Guardia Nazionale medesimamente pregando a
tutti i cevili che si retirassero nelle sue case, pareva che da un tratto a
l'altro un rivoluzione, tutti i forestieri a fuggire a tutta fretta fuori
dalle porti dicendo a grido di voci: chiudono tutte le porti di Verona
Io pieno di spavento appena era rivato al mercato, ricevei il mio sachetto
del denaro correndo mi son portato a casa, per cui non mi son dato premura
di oservare se vi era possidenti con frumento (...) vedrò a giovedì se
non accadda dispiaceri, che il militare insultano ai cevili veronesi, come a
sabbato giorno 6.
Di questo alle ore 8. sera accadde uno spargimento di sangue, e con diversi
feriti, e morti, cevili, e militari austriaci, su questa rebilione restò
anche una signora incinta, per cui tutti i veronesi voliono vendetta, pare
ogni ora voliono appressarsi addosso al militare».
Le
quattro facciate della lettera del 12 ottobre 1866 che racconta i
fatti di Verona della sera del 6 ottobre nel corso della quale morì
Carlotta Aschieri.
Un'altra bella testimonianza su
questi fatti è contenuta in una lettera che Maria Anna De Stefani spedisce a
sua nonna Maria Gradenigo Bizio a Venezia.
Si tratta di una lettera privata inedita che racconta quasi in presa
diretta gli avvenimenti di quella sera, con una proprietà di linguaggio
ed una ricchezza di descrizioni ed un affiorare di sentimenti sconosciuti
all'autore della lettera riportata sopra.
Venne scritta sei giorni dopo quei fatti, il 12 ottobre 1866, quando
Verona non era ancora italiana per pochissimi giorni: gli austriaci lasceranno
Verona il 16 ottobre ed il 17 ottobre vi entrerà l'esercito italiano.
La lettera venne spedita il giorno 13 ottobre con un francobollo da 5
soldi del Lombardo Veneto, uno degli ultimi giorni di uso dei francobolli
austriaci: poi, dal 17 ottobre 1866, entreranno in uso i francobolli del
Regno d'Italia.
La
busta che contiene la lettera del 12 ottobre è stata spedita il
successivo 13 ottobre 1866 con un 5 soldi del Lombardo Veneto: dopo
quattro giorni entreranno in uso esclusivamente i francobolli del
Regno d'Italia.
«Carissima Nonna!
in questi dì di aspettazione, di timore e di gioia ho perduto il
cervello, dice la mamma, per cui non trovo un minuto di calma da poterlo
impiegare a scrivere alla mamma.
Inquieta per non avere notizie della salute pubblica di Venezia,
m'incarica di scarabbocchiare queste quattro linee per dimostrarle il
sommo desiderio che ha di ricever sue lettere, e per farle noto il nostro
buonissimo stato di salute, anche del papà e di Pietro ad onta dello
spavento provato e del correre a tutta lena sabbato sera.
La faccenda un po' seria l'avrà udita già raccontare, nondimeno voglio
fargliene il ragguaglio.
La Guardia Nazionale faceva sua prima comparsa e per tutto risuonavano i
più clamorosi evviva. Uscita che fu e divisa in più parti a far guardia
la folla anch'essa si disperse, e molta di questa si avviò verso la
piazza Bra.
Passando per la Via Nuova gridarono unanime fuori la bandiera vogliamo
illuminazione. I loro desideri furono subito paghi, e la festa proseguiva
con ordine essendo stato permesso il farlo anche dal comandante Jacobo.
Giunti in Bra gli stessi gridi si fecero udire ed alcuni ufficiali
ch'erano seduti al caffè fecero eco agli evviva.
Durante ciò un zelante ufficiale istriano sfoderò la spada e si diede a
stracciare i viglietti, attaccati per tutto, con stampato: Vogliamo
l'Italia Una e Vittorio Emmanuello per nostro Re costituzionale.
Poi diede più colpi sulla schiena alle persone a lui vicine, e veduti ben
12 Garibaldini che passeggiavano assieme andò loro incontro con la spada
sguainata.
A quest'atto un d'essi tolta una sedia e voltosi al popolo che un po'
intimorito si allontanava gridò: Veronesi vili o prodi! Ed alzata la
sedia la diede su d'una tempia all'ufficiale insolente che sull'istante
morì.
Allora fu un serra serra, da una parte s'adropavan le spade dall'altra si facevano
volare e sassi e sedie.
La generale chiamata suonò e tutti i soldati uscirono dalla gran guardia.
Il coraggio dei veronesi questa volta si mostrò, poiché, ad onta della
quantità dei soldati, assalirono quattro volte gli austriaci e pare che
quest'ultimi abbiano avuto la peggio.
Un tenente, due ufficiali e alcuni soldati semplici restarono morti e 15
ufficiali feriti, chi gravemente e chi leggermente.
Di civili restò uccisa una donna che rifuggitasi in un caffè fu sorpresa
là entro, trapassata con la bajonetta e poi calpestata col calcio del
fucile. Il marito per difenderla riportò molte ferite, ed anzi l'altr'jeri
morì. Fu ferito ancora un Garibaldino e qualcun altro.
Il papà e Pietro si trovavano in Bra, ma ai primi gridi di fuggi, fuggi
corsero a più potero e arrivarono a casa ansanti. Paolo era andato con
Michelini a prendere sua sorella, e poi s'avviavano per andare anch'essi
senza saperlo sul luogo della battaglia quando trovarono fortunatamente un
fuggitivo suo amico che lo consigliò di ritornare, finché poteva, a casa
sano e salvo.
Gl'istriani e triestini sono fonte ogni dì di qualche disordine, sebbene
la Guardia Nazionale sappia mettergli agli arresti, ma ora, grazie a Dio,
ho udito il tamburo e Paolo mi annunziò che sono essi che partono.
Lunedì speriamo di esser liberi dalla tirannide austriaca e di poter
gridare liberamente Viva l'Italia.
La mamma aspetta presto sue lettere con buone notizie, e le
invia un'infinità di abbracci e baci. La prego di salutarmi la Gigia
Leopoldo e tutti i parenti anche a nome della mamma e di tutta la
famiglia, la quale le manda i più cordiali saluti. la Giuseppina
m'incarica di presentarle i suoi rispetti, ed io con tutto l'affetto mi
dico la sua nipote
12
Ottobre 1866
Maria
Anna»
Nel
2006, in occasione del 140° anniversario dell'unione di Verona
all'Italia, un timbro postale ha voluto ricordare il sacrificio di
Carlotta Aschieri.
La
lapide che ricorda la morte di Carlotta Aschieri è murata sull'ultima
casa di via Mazzini a Verona, dove una volta si trovava lo storico
Caffè Zampi, nel quale venne uccisa la povera donna.