Un
palazzo ed una casa su un rio veneziano ci rievocano la drammatica storia
di una giovane nobile veneziana fuggita dalla sua città per amore.
Passioni, tradimenti, intrighi di palazzo, casi diplomatici, morti ed
anche... un omicidio: tra la laguna e le rive dell'Arno.
Particolare della veduta prospettica "a volo d'uccello" di Venezia
come appariva nel 1500 incisa su legno da Jacopo de' Barbari.
Al centro si nota il "ponte storto" in legno che attraversa con un
angolo ottuso (frutto dell'incontro di due campate orizzontali) il "rio
de le Becarie".
Un ramo della famiglia Cappello
abitava nella parrocchia di Sant'Aponal (S. Apollinare) a Rialto in un
palazzo che era stato della famiglia Molin.
Il palazzo ancora oggi si affaccia sul "rio de le Becarie", così chiamato
da quando vi venne edificata la "becaria", o pubblico
macello; in precedenza, nel XII secolo, era chiamato prima "rivum
Magadessum" (toponimo che troviamo già in un documento del
1120), poi rio di ca' Bellegno, dai nomi delle famiglie Magadiso e
Bellegno che avevano le loro proprietà.
Proprio davanti alla casa dei Cappello c'era, e c'è ancora, un ponte
chiamato, come tanti altri ponti a Venezia, "ponte storto"
perché non attraversava diritto, perpendicolarmente il canale, ma era
posto di traverso.
Fatto che capitava non raramente: dobbiamo infatti pensare che la
costruzione dei ponti avvenne in epoca successiva all'urbanizzazione delle
tante "insule" che compongono la città ed inizialmente
il collegamento tra un'"insula" e l'altra avveniva con
barche.
Ciascuna "insula" aveva costruito la propria viabilità interna
che terminava sul rio. Non sempre sull'"insula" adiacente si
poteva trovare una viabilità (uno slargo, una fondamenta, un campiello o
una calle) che fosse l'esatta prosecuzione di quella dell'altra "insula".
Evidentemente quando ci si spostava da un'"insula" all'altra con una
barchetta non c'erano problemi. I problemi sorsero quando si
pensò di realizzare dei ponti, fossero inizialmente delle semplici
passerelle orizzontali, dei ponti piani o arcuati, in legno o in pietra.
Non potendo necessariamente coincidere la viabiltà di un'"insula"
con quella dell'altra "insula", il ponte poteva risultare
gettato di traverso: in particolare il ponte davanti al palazzo Cappello
sul "rio de le becarie" nel 1500 era formato
dall'incontro di due campate orizzontali che formavano un angolo ottuso e
già allora era detto "ponte storto".
Il
palazzo
Cappello sullo sfondo si riflette sul "rio de le Becarie".
Ai tempi di cui parliamo, questo
ponte si innestava ad un altro ponte che immetteva all'ingresso del
palazzo. Questo fino all'interramento del "rio de la Scoazzera"
avvenuto negli anni 1844-45 che rese inutile questo passaggio per accedere
all'edificio.
La
lapide che ricorda l'interramento di tre rii e l'abbattimento
di tre ponti attorno «...AL PALAZZO CHE FU GIA DI BIANCA
CAPPELLO...» negli anni 1844-45.
In questo palazzo nacque nel 1548 Bianca, figlia di Bartolomeo Cappello e
di Pellegrina Morosini.
Bianca cresceva bene educata, come imponeva il rango della famiglia
cui apparteneva, andando a rivelarsi anche come una splendida donna.
A 10 anni, ancora adolescente, perse la madre mentre il padre, sempre più
impegnato nella vita pubblica veneziana, si risposò con Lucrezia Grimani,
nipote del doge Antonio Grimani e sorella del patriarca di Aquileia
Giovanni Grimani.
La vita della giovane dovette essere piuttosto solitaria: reclusa in casa
poteva guardare la vita che scorreva al di fuori della sua prigione dorata
attraverso le finestre che si affacciavano sul "rio de le becarie".
Proprio su questo rio, sopra un sottoportico sostenuto da colonne, si
trova il palazzo Camin-Tamossi che risulta abitato da un Gerardo da Camin
almeno dal 16 dicembre 1392 e fu di proprietà della famiglia Tamossi che
esercitava l'attività di banchieri.
Bianca
Cappello ritratta in un affresco attribuito alla scuola di
Alessandro Allori (1535-1607). L'affresco si trovava nella
chiesa di Santa Maria a Olmi (Borgo San Lorenzo). Nel 1871
esso venne staccato e ceduto alla Galleria degli Uffizi di
Firenze, ove si trova.
La
fuga di Bianca Cappello ("Bianca Cappello abbandona la casa
paterna") come è stata immaginata dal pittore Andrea Appiani
il Giovane (1817-1865): in una ambientazione veneziana, Bianca, con
le mani poggiate sulla spalla di Pietro Bonaventuri, volge lo
sguardo verso la casa paterna che non rivedrà più mentre in
secondo piano stanno due barcaioli in attesa di imbarcare i due
giovani (
Musei
Civici di Arte e Storia di Brescia).
All'epoca di Bianca Cappello vi
era ospitata la filiale del banco Salviati di Firenze.
Dalle finestre di casa sua Bianca poteva vedere benissimo alcune finestre
degli uffici del banco, come scriveva anche suo padre Bartolomeo che
raccontava come quella casa fosse «...alquanto discosta dalla mia, dove
habito al Ponte Storto, ma che facilmente però si può veder per retta
linea per via del canal.»
E da quelle finestre Bianca aveva visto un giovane del quale fece poca
fatica ad innamorarsi.
Le
finestre del banco Salviati viste da quelle di palazzo
Cappello: forse fu proprio la finestra sopra il sottoportico
quella dove Bianca vide per la prima volta Pietro Bonaventuri.
Si trattava di Pietro Bonaventuri, figlio di Zenobio Bonaventuri, un
fiorentino che lavorava alle dipendenze della famiglia Salviati il quale
per sedurla forse fece credere di essere lui stesso un Salviati.
Ormai sedotta al punto di affidargli i gioielli della sua dote, nella
notte tra il 28 ed il 29 novembre 1563, quando aveva solo quindici anni,
Bianca fuggì con lui abbandonando di nascosto la casa paterna.
La fuga suscitò molto clamore a Venezia, anche per il rango sociale del
padre di Bianca, Bartolomeo Cappello, che dopo essere stato membro della
Quarantìa e Uditore Vecchio, era stato nominato Provveditore sopra i Dazi.
Gli Avogadori di Comun emanarono un bando capitale contro Pietro
Bonaventuri ed i suoi complici, con una taglia sopra la sua testa per chi
avesse consegnato alla giustizia, vivo o morto, il seduttore.
Il padre Bartolomeo aggiunse dei soldi propri a quella taglia. C'è chi
scrive che anche la stessa Bianca venisse bandita, anche se la circostanza
non risulta provata.
Certamente il padre non si diede per vinto e, tramite gli ambasciatori
veneziani, si rivolse a Cosimo I de' Medici (1519-1574) Duca di Toscana
per ottenere la restituzione della figlia e la condanna di Pietro
Bonaventuri.
I due giovani vennero convocati alla presenza del Duca il quale tuttavia
non prese alcun provvedimento, forse per la buona impressione che gli
diedero i due e per la determinatezza con cui Bianca seppe difendersi.
A Firenze i due giovani si
sposarono ed andarono ad abitare in un palazzo in piazza San Marco dove
nel 1564 ebbero una figlia alla quale diedero il nome della nonna materna,
Pellegrina (che nel 1576 sposerà il conte Ulisse Manzoli Bentivoglio).
Pellegrina
Bonaventuri, figlia di Bianca Cappello e Pietro Bonaventuri: a
dodici anni sposerà il conte Ulisse Manzoli Bentivoglio.
Nel 1564 il Duca Cosimo I de' Medici abdicò in favore del figlio,
Francesco I (1541-1587) che nel 1565 sposò Giovanna d'Asburgo
(1548-1578), Arciduchessa d'Austria, figlia minore dell'Imperatore
Ferdinando I (1503-1564) e quindi sorella dell'Imperatore Massimiliano II
(1527-1576).
Non è certo sul quando Bianca conobbe il reggente Francesco I: qualcuno
azzarda anche l'ipotesi che fu quando venne convocata alla presenza di
Cosimo I per dare giustificazione della sua fuga da Venezia, ma
probabilmente fu in qualche altra occasione.
Francesco
I de' Medici (1541-1587) che sposò nel 1565 Giovanna d'Asburgo,
Arciduchessa d'Austria (ritratto attribuito ad Alessandro Allori, o
scuola).
Giovanna
d'Asburgo (1548-1578), Arciduchessa d'Austria, che sposò nel 1565
Francesco I de' Medici (ritratto di Alessandro Allori, eseguito nel
1570).
La
vita matrimoniale di Francesco I pare non fosse delle più felici: secondo
i cronisti dell'epoca la moglie Giovanna è descritta come scialba, noiosa
ed insignificante, tanto fisicamente che nel carattere, e culturalmente
non all'altezza del marito che era un personaggio di cultura che seguiva
svariati interessi, dalle arti alla letteratura, agli studi di chimica e di alchimia.
Particolare
del quadro "Il laboratorio dell'alchimista" di Jan
Van der Straet, detto Giovanni Stradano o Stradanus,
(1523-1605) dipinto nel 1570. Raffigura in realtà lo studiolo
di Francesco I che ritrae durante i suoi esperimenti chimici.
Inoltre Giovanna era affetta da numerose patologie tra cui una
grave malformazione alla colonna lombare (una accentuata scoliosi che la
deformava ad "S").
Bianca al contrario era famosa per la sua bellezza e raffinatezza.
Si deve aggiungere che Giovanna non era stata in grado di offrire un erede
maschio alla dinastia dei Medici: tra il 1566 ed il 1575 partorì sei
femmine (tre delle quali non raggiunsero i due anni d'età) che per il
diritto dinastico erano escluse dalla successione granducale.
In realtà anche Bianca era delusa dal marito: presto si sarebbe dovuta
accorgere che non era quello che le aveva fatto credere a Venezia: i due
conducevano una vita grama di stenti, ben lontana dalla vita brillante cui
aspirava e che il marito Pietro non era all'altezza di assicurarle.
Bianca e Francesco divennero amanti e neppure tanto segreti se della loro
relazione adulterina se ne chiacchierava in tutte le corti europee. Bianca
venne assunta come dama di corte ricevendo un appannaggio che le
consentiva una vita comoda ed agiata mentre il marito, evidentemente
compiacente, ottenne un lavoro come intendente al guardaroba.
Pietro, che i fiorentini avevano soprannominato "cornadoro",
forse per consolarsi della moglie perduta, o forse perché non aveva mai
rinunciato alla sua vita sregolata, aveva intanto intrecciato una
relazione con una certa Cassandra Bongiovanni, nata Ricci. Una mattina del
1572 venne trovato morto per la strada. C'è chi sostiene che sia stato
ucciso da alcuni sicari mandati dai parenti della Ricci, desiderosi di
vendicarsi e soprattutto di proteggere il cospicuo patrimonio di famiglia;
ma c'è anche chi adombra la possibilità di un coinvolgimento dello
stesso Granduca.
Palazzo
Trevisan (oggi Trevisan-Cappello) acquistato da Bianca Cappello nel
1577 e da lei donato al fratello Vittore nel 1578.
Per averla vicina, Francesco fece ristrutturare per lei un palazzo vicino
alla residenza granducale di palazzo Pitti: su un vecchio edificio
dell'inizio del XV secolo venne costruito il nuovo palazzo per Bianca
dall'architetto Bernardo Buontalenti (1536-1608).
Il
palazzo che Federico I fece costruire per Bianca Cappello
ristrutturando un vecchio edificio degli inizi del
Quattrocento.
Un fiero oppositore di Bianca fu il fratello di Francesco I, il
potente cardinale Ferdinando de' Medici (1549-1609) che cercò in ogni
modo di ostacolare la relazione tra i due.
Nel 1576 Francesco ebbe un figlio, Antonio (1576-1621) le cui origini
vennero mantenute nascoste dagli intrighi di palazzo.
Non era figlio della moglie Giovanna d'Austria: molto probabilmente fu
solo il frutto di una relazione tra il Granduca ed una serva di Bianca,
poi in un certo modo "adottato" dalla coppia. D'altra parte far
passare per proprio figlio il neonato avrebbe fatto buon gioco a Bianca:
il Granduca avrebbe potuto ripudiare la moglie, incapace di dargli un
erede maschio, e legittimare il piccolo Antonio alla successione
dinastica.
Comunque il cardinale Ferdinando non ebbe difficoltà a far passare
Antonio per figlio illegittimo, garantendogli un appannaggio di tremila
scudi all'anno e numerosi possedimenti in cambio della rinuncia a
qualsiasi pretesa dinastica.
Il
cardinale Ferdinando de' Medici (1549-1609), fratello di
Francesco I al quale succederà nel guidare il Granducato.
Un anno dopo nacque Filippo (1577-1582), l'atteso figlio maschio di
Francesco I e di Giovanna d'Austria.
Quest'ultima poté godere poco della presenza del figlioletto: infatti
durante la sua ottava gravidanza, nel 1578, morì per probabile rottura
dell'utero durante il parto.
Francesco e Bianca poterono dunque sposarsi: la cerimonia semi segreta avvenne
nella cappella privata di palazzo Pitti dopo appena due mesi dalla morte
di Giovanna, quindi senza neppure attendere l'anno di lutto. La
celebrazione pubblica venne fatta più tardi, il 10 giugno 1579, nella
basilica di San Lorenzo.
L'erede maschio Filippo doveva essere una presenza ingombrante tra la
coppia, ma non lo fu per molto: infatti la sua salute era stata sempre
cagionevole ed incerta e morì nel 1582 quando non aveva ancora compiuto
il quinto anno d'età.
Alla notizia del matrimonio avvenuto, con il quale a tutti gli effetti
Bianca Cappello era divenuta Granduchessa di Toscana, il Senato veneziano
si affrettò a dichiarare Bianca «...vera et particolar figliuola
della repubblica...» accantonando il processo che, formalmente, era
ancora in corso. In aggiunta il 12 ottobre 1579 le venne consegnata in
dono una collana di diamanti ed un diadema granducale.
Nella corte toscana Bianca seppe esercitare una certa influenza, forse
addirittura maggiore di quella del Granduca che si disinteressava delle
questioni di Stato preferendo rinchiudersi nel suo studio a fare
esperimenti alchemici.
Ancora quando era amante di Francesco I, nel 1573, aveva fatto acquistare
la proprietà degli Orti Oricellari, riportandola agli antichi splendori,
dove teneva famosi ricevimenti.
Nonostante l'opposizione del cognato, il cardinale Ferdinando, fu
un'occulta manovratrice della politica matrimoniale medicea: stipendiava
un gran numero di spie in tutte le corti italiane ed in molte europee per
essere informata su possibili matrimoni e unioni che avrebbero potuto
giovare alla ragion di Stato fiorentina.
Bianca amava circondarsi di molti artisti, pittori che le dedicarono
ritratti, ma anche scrittori come Torquato Tasso, o scienziati come
Galileo Galilei con il quale ebbe numerosi incontri.
Non esitò neppure a sottoporsi a riti magici per vincere la sterilità.
Bianca, in qualità di Granduchessa, si rese utile a Venezia favorendo i
rapporti con gli ambasciatori veneti ed intensificando le relazioni tra i
due Stati.
Lei non si dimenticò mai della sua famiglia: fece cospicue donazioni al
padre Bartolomeo e quando ancora non era sposata con il Granduca donò al
fratello Vittore un palazzo a Venezia. Si tratta del palazzo in Canonica
che apparteneva al nobile Domenico Trevisan, fu Angelo, che acquistò il 4
ottobre 1577 per poi donarlo al fratello il 12 maggio 1578, come risulta dagli atti
del notaio Antonio Callegarini.
Così
sinteticamente Giuseppe Tassini (1827-1899) racconta la vicenda di Bianca
Cappello: «Mortale la madre, ed invaghitasi di Pietro, figlio di Zenobio
Bonaventuri, Fiorentino, giovane che in Venezia teneva le ragioni del
banco dei signori Salviati di Firenze, che le stava di faccia di casa, e
che, per quanto dicesi, le aveva dato ad intendere di essere uno dei
Salviati, fuggì seco lui dalla casa paterna nella notte del 28, venendo
il 29 novembre del 1563, dirigendosi a Firenze. Colà i due amanti
divennero marito e moglie, e ben presto ebbero una figlia per nome
Pellegrina. Frattanto la fuga di Bianca fece grande rumore in
Venezia, e gli Avogadori di Comun emanarono bando capitale contro
l'assente Pietro Bonaventuri, e complici; bandita per quanto
vogliono alcuni, fu la stessa Bianca, e Bartolammeo Cappello, di lei
padre, aggiunse de' propri danari un premio a quello che dagli
Avogadori era stato decretato a favore di chi, o vivo o morto, desse
nella mani della giustizia il seduttore. Bianca in Firenze non
tardò a dar nell'occhio a Francesco dei Medici, figlio di Cosimo
Granduca, reggente della Toscana, ed a divenirne amica. Pietro
Bonaventuri, dall'altra parte, incominciò a frequentare Cassandra
Bongiovanni, nata Ricci, il che occasionò la morte di Pietro e di
Cassandra per opera della famiglia Ricci, desiderosa di vendicarsi
dell'onta. Rimasta vedova Bianca, venne nel 1578 presa in moglie da
Francesco dei Medici, successo fino dal 1574 a Cosimo suo padre nel
granducato, e rimasto vedovo pur egli per la morte dell'arciduchessa
Giovanna d'Austria. Tosto che tali nozze furono partecipate al doge,
i Veneziani afrettaronsi a dichiarare Bianca "vera et
particolar figliuola delle repubblica", ed in obblio fu posto
il processo. Bianca, in contraccambio, si rese utile in molti
incontri alla madre patria, beneficò di molti danari il padre
Bartolammeo, e donò al fratello Vittore il palazzo dei Trevisani in
Canonica, da lei comperato. Sennonché nell'anno 1587, Francesco ai
19, e Bianca ai 20 d'ottobre, morirono a Poggio di Cajano, non senza
sospetto di veleno loro procurato dal cardinale Ferdinando dei
Medici, fratello di Francesco. Egli è certo che costui non volle
che a Bianca si rendessero dopo la morte regii onori, che non la
volle sepolta nelle tombe dei Medici, e che fece levare da tutti i
luoghi pubblici i di lei stemmi. Anche il Veneto Senato, per
piacenteria al medesimo, già successo nel granducato al fratello,
proibì il lutto per la morte di Bianca.»
L'8
ottobre 1587 Bianca, assieme al marito, si trovava nella villa medicea di
Poggio a Caiano.
Si era tenuta una battuta di caccia, durata alcuni giorni, in un'area
agricola coltivata a risaia, terreno propizio al propagarsi della malaria,
alla quale era stato invitato anche il cognato, il cardinale Ferdinando.
La
villa medicea di Poggio a Caiano progettata da Giuliano
Giamberti da Sangallo (1445-1516) attorno al 1480 su incarico
di Lorenzo de' Medici. La villa, dopo alcune interruzioni,
venne ultimata attorno al 1520.
Alla sera, dopo la cena, Francesco si sentì male lamentando
forti dolori addominali accompagnati da febbre alta e conati di vomito.
La mattina dopo anche Bianca venne presa da febbre alta e intermittente
con gli stessi sintomi del consorte.
L'agonia dei due coniugi si protrasse per una decina di giorni: il
Granduca Francesco I morì il 19 ottobre e Bianca l'indomani, il 20.
Il cardinale Ferdinando de' Medici, che si era sempre opposto all'unione
del fratello con Bianca, non volle che essa venisse inumata nelle tombe di
famiglia, ma dispose che il suo corpo venisse seppellito in un «carnaio
comune»; fece anche rimuovere da tutti i luoghi pubblici lo stemma
della Granduchessa.
I medici di corte Baccio Baldini, Pietro Cappelli e Giulio Cini che si
incaricarono dell'imbalsamazione del corpo di Francesco asserirono che la
morte fu causata da «terzana maligna», ovvero «malaria
perniciosa».
Nella loro relazione scrissero che la sera dell'8 ottobre Francesco si
sentì male colpito da forte febbre accompagnata da vomito; seguì uno
stato di irrequietezza e di insonnia. Il giorno successivo la febbre
continuò innalzandosi verso sera. Il 10 ottobre diagnosticarono una
febbre malarica terzana e sottoposero il Granduca ad un salasso; poi, per
un paio di giorni, Francesco si sentì meglio al punto di poter riprendere
la propria attività. Dal 12 al 14 ottobre la febbre si ripresentò alta:
il Granduca sudava moltissimo.
Il giorno 15 ottobre sembrò migliorare, ma poi il 16 ed il 17 ritornò la
febbre e con essa abbondante sudorazione, vomito e stitichezza; il 18 fu
sottoposto ad altri due salassi, la mattina di lunedì 19 si confessò e
dettò le sue ultime volontà, nel pomeriggio la febbre salì ancora fino
a portarlo alla perdita della conoscenza. Dopo un paio d'ore sopraggiunse
la morte.
I medici di corte descrissero anche il decorso della malattia di Bianca
Cappello, seppure in forma meno dettagliata: la Granduchessa si sentì
male il giorno dopo (9 ottobre) colta da un attacco di febbre forte ed
intermittente con conati di vomito. Anche la sua agonia si protrasse per
una decina di giorni: morì il 20 ottobre.
Tuttavia presto cominciarono a girare voci circa un presunto avvelenamento
della coppia.
Fiorirono storie fantasiose sull'avvelenatore: la più accreditata vedeva
nel cardinale Ferdinando l'autore del misfatto, altre attribuivano a
differenti personaggi la responsabilità del duplice omicidio effettuato
con le modalità più disparate, compresa la classica torta avvelenata.
In realtà il cardinale non aveva la necessità di togliere di mezzo il
fratello per assumere il potere granducale: in mancanza di eredi legittimi
che avrebbero potuto sbarrargli la strada, sarebbe potuto divenire
comunque Granduca quando lo avesse voluto.
C'è anche da aggiungere che la stirpe dei Medici aveva già dimostrato di
essere di salute debole e cagionevole; inoltre non si deve dimenticare la
precedente lunga battuta di caccia fatta in un terreno favorevole al Plasmodium
della malaria.
In tempi più recenti sarebbe venuto alla luce un documento che
affermerebbe che, dopo l'autopsia del 1587, i visceri dei due sposi
sarebbero stati interrati nella cripta della chiesa di Santa Maria Assunta
a
Bonistallo.
Quello
che resta della chiesetta di Santa Maria Assunta a Bonistallo.
Dopo il 1903 ne vennero ricavati due appartamenti, che tuttavia
mantennero sostanzialmente integra l'area dell'altare maggiore che fu adibita
a cappella. Un intervento di recupero iniziato nel 2004
permise il riuso collettivo di questi antichi spazi
architettonici.
Durante lavori di recupero e ristrutturazione di quello che restava
della chiesetta, nel maggio 2005 scavi effettuati nella pavimentazione
misero alla luce alcuni ossari dove furono rinvenuti alcuni vasi
contenenti dei reperti biologici assieme a manufatti, alcuni dei quali
risalenti al XVIII e XIX secolo.
Durante i lavori di ristrutturazione dell'antica
chiesa di Santa Maria Assunta di Bonistallo: scavi nella
cappella davanti all'altare (Foto tratta dal sito paleopatologia.it).
Al di là del fatto che lo scavo venne fatto senza alcuna metodologia
archeologica (dai muratori che stavano lavorando al restauro della chiesa)
appare azzardato riferire i resti a Bianca Cappello, la cui sepoltura non
è mai stata trovata, ed a Federico I de' Medici del quale, nelle tombe
medicee, restano solo le ossa disarticolate con il cranio prive di tessuti
molli, pelle o barba. L'eventuale DNA che potrebbe essere stato estratto risulterebbe
inquinato da DNA moderno risalente all'apertura della tomba nel 1948
(senza dimenticare le precedenti riesumazioni dei secoli scorsi).
In realtà su alcuni campioni di osso spugnoso appartenuti a Francesco I,
nel 2009 il Laboratorio di Parassitologia della Facoltà di Medicina
Veterinaria dell'Università di Torino accertò la presenza del Plasmodium
falciparum che causò la morte del Granduca per febbre malarica,
confermando così la diagnosi che fecero i medici di corte quell'ottobre
del 1587.
Anche i sintomi che descrissero sono del tutto compatibili con la febbre
malarica da Plasmodium falciparum (e non lo sono con
l'avvelenamento da arsenico).
L'indagine scientifica mette così la parola fine sulla leggenda
dell'avvelenamento.